Pensieri Sparsi

Si dovrebbe tornare senza voce da un concerto, non senza vita!


Non sono solita mettere nero su bianco i miei pensieri quando accadono cose del genere, quando per l’ennesima volta ci ritroviamo inermi di fronte alla conta dei morti, delle vittime di una guerra che si combatte con armi impari, che colpisce il cuore delle nostre emozioni e lo distrugge in pochi istanti di delirio e follia, eppure questa volta c’è qualcosa che mi ribolle dentro, qualcosa che mi costringe ad esprimermi a riguardo, qualcosa che mi impedisce di tacere.

 L‘ennesimo attentato quello accaduto ieri notte a Manchester; a far paura in una frase del genere, per quanto mi riguarda non più la parola attentato, ma quell’ennesimo che ormai sempre con più naturalezza accompagna tale parola, come se abituarsi a tali notizie riuscisse a renderle meno terrificanti. Non è così, neanche un poco.

Quante volte sono stata ad un concerto? Quante volte ho salutato i miei genitori in preda all’euforia più totale? Quante volte mi hanno visto varcare la soglia di casa per recarmi chissà dove all’insegna dell’ennesimo concerto, l’ennesimo viaggio tra amiche e musica che avevo tanto bramato, pianificato e/o atteso? Quante volte schiacciata da folla urlante mi sono lasciata travolgere dalle emozioni che, pervadendo la mia anima, mi regalavano un’assurda sensazione di invincibilità. Perché è così che ci si sente quando si è felici, quando la musica pervade l’essenza più profonda della propria anima, quando si accendono le luci su un palco non più vuoto e la sagoma del proprio cantante preferito smette di essere sfocata, quando la realtà supera la fantasia…quando sembra che tutto possa accadere.

#SoloCoseBelle
E’ uno degli hashtag che normalmente accompagna le mie foto di concerto perché, quando esci di casa stringendo in mano quel pezzo di carta che ti consentirà l’accesso alla felicità, sono solo le cose belle quelle che riempiono la tua testa, le uniche che dovrebbero colmare quelle giornate, le uniche che dovrebbero condizionare  il tuo umore, le uniche che vorrai ricordare. Le uniche che dovresti aver vissuto.

Un velo di lacrime ricopre i miei occhi nel leggere le notizie che, istante dopo istante, forniscono più dettagli a questa notte dell’orrore: 22 morti certe, oltre 50 feriti, decine di dispersi. Ragazzine, bambine, la cui unica colpa è stata quella di voler vivere in un sogno per una serata. Immagino la gioia nei loro occhi allo spegnersi delle luci, le emozioni da batticuore canzone dopo canzone, la sensazione di trovarsi in una realtà parallela. Provo ad immaginare il terrore che ha attraversato i loro corpi al suono dell’esplosione, il panico che ha paralizzato le loro gambe, le urla che le hanno lasciate senza voce, la paura di non riuscire a tornare a casa, di non riuscire a riabbracciare la propria madre, di non riuscire ad uscire vive da quell’incubo. Non ci riesco, fa troppo male.

Avevo 14 anni quando sono stata al mio primo concerto, mio padre non aveva voluto entrassi da sola perché non era pronto a vedere la sua bambina fare cose da grandi o, semplicemente, perché un genitore sa che nessun posto è davvero al sicuro per la sua bambina eppure la sua felicità vale quel rischio. Sempre. Ora più che mai. 

Ci ho pensato tutto il giorno, un tragedia sembra essere più dolorosa quando in qualche modo ti colpisce da vicino; non è questione di morti di serie A o di serie B, non è il volersi mettere addosso una bandiera per omologarsi al dolore mediatico che ci viene riversato addosso, si tratta semplicemente di riuscire a rivedere se stessi tra quella folla e sentirsi mancare l’aria per la paura. E’ immaginare di andare al prossimo concerto con la triste consapevolezza che quell’isola felice non è più un posto sicuro; è avere la consapevolezza che ad ogni attentato si perde un pochino in più.


Ho paura, ma non sarà la paura a fermarmi. 


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