Pensieri Random di una 15enne · Pensieri Sparsi

Polizia della ciacionità…


Che ultimamente io abbia avuto problemi con i ciacioni è cosa ormai nota, ma qui credo che si stia esagerando. Ognuno di noi ha bisogno di una isola felice in cui i pensieri si vanno a riposare e la mia, da oltre più di metà della mia vita, è sempre stata una bella isola morbida e bionda.

Un po’ come una certezza, nonostante gli anni che inesorabilmente passano e che ci costringono a crescere, nonostante i problemi della vita che ci costringono a cambiare prospettiva, nonostante tutto insomma la mia isola felice è sempre stato un unico punto fermo nella mia vita da adolescente troppo cresciuta.

Bellino eh? Il termine di paragone contro cui ogni uomo passato nella mia vita si è dovuto ingiustamente scontrare: come puoi anche solo immaginare di vincere un duello contro la perfezione? Come ci si può avvicinare al Sole? Spoiler Alert: semplicemente non puoi.

Ho sempre difeso il sacrosanto diritto di perdersi nella bellezza di un sogno, di vivere nell’illusione della perfezione di un’illusoria ed eterea realtà frutto di una fantasia ancora adolescenziale che non ha smesso di donare un bagliore aureo alla fonte delle sue fantasie primordiali.

Eppure poi esiste lo scontro frontale con la realtà (e anche con l’idiozia delle fans di questo uomo, ma questa è un’altra storia).

L’8 Marzo 2023 i miei ormoni sono suicidati!!!

Visibilmente ingrassato e ritratto in una pessima postura mentre beve vino e fuma come un qualsiasi 60enne pensionato che si gode la vita sul suo yacht. Va beh lo yacht non è il suo, si tratta di un charter di lusso in Australia; non sono sicura che stia bevendo del buon vino o di cosa stia fumando (e neanche mi interessa), per arrivare ai 60 anni ne deve vivere altri 17. Ma questi sono dettagli.

Il mio sguardo si perde fissando questa ultima foto e mi domando dove sia finito l’uomo perfetto dei miei sogni ma soprattutto dei selfie patinati e levigati dalle luci e dai filtri con cui lui stesso riempie il mondo avido dei social (quando smette di ammorbarci l’anima con stucchevoli post sulla famiglia). Osservo triste questa immagine e le mie orecchie riescono ad immaginare il suono immondo del rutto che sembra essere in procinto di smollare da qui a poco e, non so e

Una volta mi piaceva Nick Carter…poi è diventato così!!!

Il mondo è un posto veramente triste! 🥺

…almeno fino al prossimo selfie fintamente perfetto!!!

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ᴅᴇᴠᴀsᴛᴀɴᴛᴇ


Che la vita fosse imprevedibile quest’anno avrei dovuto impararlo in diversi modi. Eppure anche questa volta mi sono scoperta impreparata al flusso di emozioni che mi hanno travolto.
Ci sono viaggi che semplicemente nascono storti; le quasi 9 ore di ritardo dell’aereo alla partenza avrebbero dovuto essere un buon segno. Beh anche la fenomena che, incapace di affrontare una discussione, ha tirato fuori dallo zaino il distintivo pensando che cambiassi i miei toni al suono della parola carabiniere come segno non era niente male a pensarci bene.

Storta va, diritta viene!

Ho iniziato a ripeterlo come un mantra per placare la mia ansia crescente e staccarmi quella sensazione negativa che mi si era appiccicata addosso da qualche giorno. L’ho ripetuto mentre imprecavo in duplice lingua contro Booking perché mi avevano annullato la prenotazione del taxi che ci avrebbe portato in albergo. L’ho ripetuto quando, nel bel mezzo di una turbolenza, l’aereo ha iniziato a sobbalzare violentemente e, per la prima volta dopo decine e decine di voli, ho dovuto chiudere gli occhi e respirare a fondo per combattere il panico che mi aveva iniziato a spezzare il respiro dal profondo della mia essenza. L’ho ripetuto anche quando, con sorriso stanco, ho notato che l’autista di Uber si stesse accertando che fosse tutto ok con l’albergo ed è andato via solo dopo essersi assicurati che il receptionist di turno alle 5 del mattino avesse aperto le porte per farci entrare. 
L’ho ripetuto così tante volte da aver costretto la mia testa a crederci fino ad ignorare la doccia fin troppo tiepida del mattino seguente.


Ho iniziato ad immergermi nell’ultima città del piccolo tour di questo autunno, inseguendo spot Instagrammabili e foliage autunnale in palette con il mio outfit. Si dice che Londra sia sempre una buona idea (o forse era Parigi?) e, nonostante la fastidiosa pioggerella che sembrava mettersi in pausa giusto il tempo di scattare qualche foto, non avrei potuto assolutamente non essere d’accordo con questa affermazione. Nonostante continuassi a lottare silenziosamente contro quella fastidiosa sensazione che sembrava non volesse proprio abbandonarmi, la giornata è trascorsa piacevolmente. 
Forse questa volta mi sbaglio: andrà tutto bene.

Ore 20:57
Una notifica di whatsapp: una foto. Uno screenshot, volendo essere precisi.
Non ci credo. Ma è vero?

Mi piacerebbe raccontare di aver avuto una reazione diversa, farebbe di me una persona migliore probabilmente. Ma sarebbe una stupida bugia mal raccontata: che la fine di Aaron Carter fosse tristemente già scritta lo sapevamo tutti, che quella fine dovesse arrivare in quel momento un pò meno. Seduta sul divano di casa mia probabilmente avrei provato d’impeto più empatia per la tragica fine di un uomo di appena 34 anni; immersa nelle luci di una città a me straniera ho provato, egoisticamente, solo tanta rabbia. Le mie sensazioni non sbagliano mai.
Il mio viaggio a Londra aveva mille e più significati per me: non rappresentava solo la fine di quel tour che mi aveva riavvicinato alla vita che il Covid mi aveva portato via, non era solo l’ultima possibilità di abbracciare il mio Ciacione prima che tornasse dalla parte opposta del mio mondo, non era solo un viaggio di famiglia, non era solo  la sorpresa che dopo 24 anni avrei voluto fare a mia madre. Era la dimostrazione che per quanto la vita ci provi a buttarti giù, c’è sempre il sole dopo la pioggia. E Aaron Carter aveva portato la tempesta.

Sul mio telefono è iniziato un susseguirsi di messaggi, di fastidiose supposizioni su come si sarebbero svolti gli eventi, di ipotesi odiose in cui tutti sapevano cosa sarebbe accaduto, quale sarebbe stata la cosa migliore, ma nessuno sapeva un cavolo. Me compresa. Tutti soffrivano per una perdita che non gli apparteneva mentre io scorrevo con gli occhi quelle parole che asetticamente mi parlavano di rimborsi. 
Quando una notizia ti colpisce in faccia come uno schiaffo a man rovescio ci metti un pò per assaporarne davvero l’essenza; razionalmente so cosa avrei dovuto provare, ma sfido chiunque a riuscire ad elaborare pensieri diversi da quelli che si sono affollati nella mia testa in quelle ore.
Tornata in albergo ci ha pensato l’assenza di acqua calda in tutto l’edificio a darmi il colpo di grazia: qualcuno me la stava palesemente tirando. E a sto giro gli stava riuscendo anche piuttosto bene. Sono andata a letto spegnendo totalmente i pensieri: non avrei potuto in alcun modo avere controllo sugli eventi del giorno dopo, ma sulla mia reazione ad essi si.

Al mio risveglio, il mattino seguente, ho controllato in maniera ossessiva la casella mail e Twitter alla ricerca di ogni piccolo indizio che mi avesse suggerito come sarebbe stata la giornata: il nulla cosmico! Frasi inutili scorrevano l’una dietro l’altra: cordoglio, illazioni, lamentele, supposizioni, selfie con frasi struggenti per attirare l’attenzione, liti inutili sulle sensazioni da provare. Il nulla più assoluto. Gente che non sapeva se lasciare casa per recarsi al palazzetto, gente che, seduta sul divano di casa propria, inveiva contro chi si stesse domandando se il concerto sarebbe stato annullato. Chiacchiere vuote ed inutili.
Il problema di fondo è sempre lo stesso: tutto si riduce alla prospettiva da cui vedi le cose, quella prospettiva che ti regala solo una piccola visione dell’intera vicenda.
Un uomo di 34 anni era morto da poche ore. Il fratello dell’uomo che da anni mi regala sorrisi era morto da poche ore e io continuavo a pensare allo stipendio speso per vedere mia madre emozionarsi come avevo fatto io mille volte; al momento di felicità che quel destino infame mi stesse negando dopo un anno che tutto era stato fuorché facile. E no, non mi sentivo egoista neanche un po ‘.

Dovrebbero annullare le ultime date del tour.

Altisonante risuonava questa frase sui social ed io avevo iniziato ad accarezzare l’idea che con tutti i soldi che mi avrebbero dovuto rimborsare alla fine di questo viaggio avrei potuto tranquillamente andare dall’altra parte del mondo per riabbracciare il mio Ciacione e concedermi tanto shopping terapeutico. Non tutti i mali vengono per nuocere se affrontati con il giusto mood e io il giusto mood avevo intenzione di ricercarlo. Ho riposto in valigia il vestito fuxia che avrebbe dovuto accompagnare il caffè del pomeriggio e ho remixato uno degli outfit jeans e maglioncino: nessun vestito dovrebbe essere sprecato quando hai la possibilità di fare belle foto. 

Ho trascorso la mattina ignorando il peso che sentivo sullo stomaco, incapace di smettere di controllare come un’ossessa se ci fossero aggiornamenti ho dissimulato una tranquillità che probabilmente mai avevo avuto in questo viaggio. Colazione, passeggiata, foto, shopping, foto e infine pranzo domenicale. Tutto sempre ricoperto da quella pioggia che, sempre più insistente, martellava nel mio cervello quasi più dell’assenza di notizie (o forse del ridicolo susseguirsi di ipotesi rincorrendo stories di un Dj a cui forse non era ben chiaro cosa si potesse o non potesse dire).
Indossare l’outfit per il Meet & Greet non è mai stato così mestamente ansiogeno: ho risistemato il trucco cercando di ricordarmi di sorridere e non rischiare di unire il broncio alle mie solite rughe di espressione. Venire bene in foto è un lavoro faticoso e il sarcasmo con cui affronto il tutto è la mia arma vincente. Il tragitto fino all’O2 Arena mi è sembrato infinito; un misto di emozioni contrastanti ha pian piano preso possesso della mia testa rendendomi impossibile anche solo lontanamente il restare lucida. La triste consapevolezza che non avrei ricevuto un suo abbraccio faceva a cazzotti con la paura di trovarmi di fronte i suoi occhi pieni di dolore: cosa avrei realmente affrontato al meglio? 
Forse solo in quel momento me ne stavo rendendo davvero conto: a quale delle due ipotesi ero meno preparata? Lo avrei scoperto di lì a poco, in realtà.

Eravamo in fila, nella speranza che il gate fosse quello giusto, quando con un’espressione mestissima è comparso Eddie:
Nick non sarà presente al Meet & Greet. Dovrebbe esserci stasera al concerto. Se volete, potete chiedere il rimborso.
Sono convinta di non avere avuto reazioni, in fin dei conti sapevo che questa sarebbe stata la cosa più ovvia (e giusta) che sarebbe potuta succedere in quel momento eppure il sorriso sul mio viso deve essersi spento di colpo. Potete chiedere il rimborso. Vorrei poter ammettere di non aver neanche lontanamente accarezzato l’idea; mentirei consapevole di mentire. Quante volte ho ironizzato sul fatto che se non ci fosse stato il Ciacione non avrebbe avuto alcun senso  un evento e avrei preteso il rimborso? Sarebbe stato un mio sacrosanto diritto. Questa volta però non si parlava solo di me! Fino a qualche istante prima con mia madre stavamo facendo la prova del sorriso, immaginando come avrebbero reagito le sue amiche nel vedere la sua foto con i Backstreet Boys e, nonostante lei continuasse a ripetere di accettare la restituzione dei soldi, non avrei mai potuto sottrarle questa esperienza. Non avrei potuto privarla di questa emozione. 

Ho incontrato i 4 tizi che cantano con Nick Carter. Ehm ho incontrato i Backstreet Boys.
Ed è stato stranissimo!!!
La sequenza in cui era disposti era sempre la stessa. O quasi.
Varcato il pannello di separazione, i miei occhi non hanno trovato subito il Sole ed il suo sorriso ad accogliermi. 
Il primo al mio cospetto è stato Howie. Questa volta l’ho guardato davvero e, forse per la prima volta, non mi ha fatto tanto simpatia il suo atteggiamento quasi distaccato. Alex mi ha abbracciato con delicata gentilezza e, davvero, per la prima volta mi sono concentrata sulla carineria dei suoi gesti. Poi un colpo al cuore, quel vuoto così grande da togliere il fiato. La percezione che quel momento non avrebbe mai avuto lo stesso magico sapore. È stata frazione di secondo, quella che serve per cambiare una consolidata routine e farmi ritrovare di fronte a Kevin con il suo solito abbraccio stritolante. E infine un raggio di luna: Brian. Ma è sempre stato così bello? Mi ha abbracciato forte (e con quei braccioni è davvero tutto un dire) e mi ha sorriso; ha preso in mano le redini della questione trascinandomi al centro per avere una foto ben centrata. Ho percepito la tenerezza nei suoi gesti e questo mi ha confuso parecchio.  Perché non avevo mai notato tutti questi dettagli? Sono stati l’amore, dovrei essere fulminata se solo pensassi il contrario eppure non è stata la stessa cosa. Mancava lui: la sua assenza era la maggior presenza che potessi percepire. 
Solo chi sa di cosa io stia parlando può comprendere il mio delirio e capire la malinconia di una giornata grigia senza Sole.

Poi è entrata la mia mamma e tutto ha cambiato colore.
La hanno accolta come si fa con una persona a cui tieni tantissimo, circondandola di attenzioni e gentilezza; continuavano a chiamarla mamma e a ringraziarla per l’aver condiviso quel momento con me, rendendo quegli istanti un ricordo speciale che conserverà per sempre nel suo cuore. Non l’ho mai vista sorridere ed emozionarsi in quel modo. Ha percepito un poco di quell’amore che mi porto sempre via ogni qualvolta che li vedo, ha capito i miei piccoli istanti di felicità, ha capito che i sogni si realizzano e la vita può essere piena di piccoli istanti di magia.
Sono troppo belli. Quando sei li, non vuoi più andare via. Quando possiamo vederli di nuovo?
Non era stato proprio come lo avessi immaginato, eppure era stato bellissimo. Un’emozione che difficilmente trova voce in delle semplici parole. La magia aveva avuto effetto anche su di lei, seppure senza Sole.

Un unico interrogativo ha turbato le successive ore fatte di un giro al centro commerciale, una pizza che poi non era così da schifo, messaggi vocali alle amiche di sempre per condividere le emozioni e chiacchiere con sconosciute in fila per il bagno:
Lui ci sarebbe stato su quel palco? 
La risposta è arrivata poco dopo quando, con il cuore che batteva sempre più forte man mano che le stesse immagini ormai imparate a memoria scorrevano sul maxischermo, sono comparsi sul palco: tutti e cinque. L’arena è esplosa. Mai come in quella frazione di secondo ho sentito le urla raggiungere una potenza del genere: era un abbraccio rumoroso, un chiassoso ringraziamento verso chi, nonostante il dolore, aveva scelto di essere sul quel palco e metterci anima e corpo. Questo lo avremmo visto solo poco dopo, ma la sua presenza era bastata per innescare una bomba di energia a cui mai avevo assistito prima di quella serata.

Era il mio nono concerto di questo tour iniziato nel 2019: Milano, Zurigo. Praga, Los Angeles, Anaheim, Amsterdam, Bologna, Cracovia e infine Londra. Ogni tappa ha lasciato un ricordo particolare dentro di me, ma mai nella vita potrò dimenticare le emozioni devastanti provate quella sera del 6 Novembre
La piccola crepa che la sua presenza sul palco ha creato nella mia essenza è diventata uno squarcio nota dopo nota, canzone dopo canzone; i miei occhi si sono riempiti di lacrime che non sono riuscita a controllare per tutta la durata dello spettacolo. Ancora oggi, scrivendo questo resoconto, sento quella sensazione di pugno allo stomaco che mi ha colpito con violenza quella sera: nell’aria c’era rabbia e dolore, amore e compassione, cordoglio e gioia di vivere. Il tutto e il niente. Essere con mia madre, percepire l’importanza della famiglia, ha moltiplicato quelle emozioni che da tempo avevo iniziato a temere di aver perso per sempre. Quando per l’emozione gli si è strozzata la voce ho sentito un pezzo del mio cuore frantumarsi in mille frammenti che si sono conficcati violentemente nella mia anima. Il suo dolore era il mio, la sua sofferenza era la mia, la sua rabbia la percepivo fino al centro del mio midollo. La forza delle emozioni che mi hanno travolto come una valanga mi ha devastata.

Potrei spendere migliaia di parole per spiegare come si possa condividere il dolore di un perfetto sconosciuto al punto tale di percepire un concerto quasi come se fosse un funerale, ma sarebbero parole sprecate. Solo chi sa davvero di cosa io stia parlando può capire questo amore profondo ed innaturale che mi porto dentro da praticamente tutta la vita; un amore che confonde la mia essenza e manda a puttane la mia razionalità. Sono passati dieci giorni e ancora sto elaborando le emozioni di quella sera.

You think you know, but you have no idea.

Pensieri Random di una 15enne

Date un Oscar a questa donna!


Avete presente quando tra tutte le persone sulla faccia della terra sembra che il tuo cervello abbia smesso di funzionare facendoti perdere un pò il lume della ragione proprio per quell’esemplare di ominide che tutti i tuoi conoscenti reputano un povero idiota?

A questo punto per dissimulare il fatto che hai dei gusti decisamente di merda, che la tua capacità di giudizio è ormai arrivata ai minimi storici, che il buonsenso ha abbandonato il tuo corpo…insomma per non far capire al mondo che di base sei solo una cretina, aiutata dalla forte irritabilità intrinseca all’ominide in questione, fingi un profondo odio nei suoi confronti. Un senso di irritazione livello Pro che ti fa alzare gli occhi al cielo quando parla e storcere il naso al suono del suo nome.

Ma fingi proprio bene!!! Talmente bene che, arrivati a questi livelli, aspetti che, da un momento all’altro, arrivi una celebrità con tanto di bellerrimo vestito di gala a consegnarti un oscar nel salotto di casa tua. Oh, se sei così brava, il mondo deve saperlo.

Il problema è che sei talmente brava che anche se ci stai morendo ancora dentro, nessuno se ne accorge.
Talmente brava che nessuno si rende conto che il solo suono del suo nome ti fa partire l’ansia, che ti sale la rabbia per le cose non dette, che gli spaccheresti la faccia solo per non porti domande, così per partito preso.
Fingi così bene che l’ominide in questione diviene l’arma per prenderti in giro, la persona irritante da nominarti a modo di minaccia; quelle cose del tipo:
Oh ti faccio telefonare dall’Ominide, così davvero puoi dire che è un lunedì di merda.
Ti faccio contattare dall’Ominide così vedi come diventa piacevole parlare con me in alternativa.
Seeeh, ti chiudo in una stanza con l’Ominide per punizione così….

Il punto è che tu non credevi di essere così una brava attrice, ma ormai non puoi deludere le aspettative del pubblico. Non puoi mica raccontare che è un mese che non lo senti e non ti manca ma se evitassimo di nominarlo il mondo sarebbe un posto migliore, mica puoi dirgli che è già un macello addomesticare i tuoi pensieri senza loro aggiungano ostacoli sul tuo percorso di guarigione e riacquisizione del senno.

Cosa ti resta fare? Ascolti l’ennesima idiozia che porta il suo nome, ridi cercando di non sembrare isterica e pensi che se ti ci chiudessero nella stanza potrebbe essere una cosa molto pericolosa e quindi meglio non soffermarcisi neanche di sfuggita sul pensiero…e fingi un conato di vomito!!!

Il pubblico non va deluso.

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Ferma non ci riesco a stare.


Non credo sia mai passato così tanto tempo prima che mettessi nero su bianco le emozioni di un viaggio di questo tipo; solitamente non riesco a controllare l’entusiasmo e le parole sono così concitate da divenire puntualmente quasi confuse…e invece a sto giro Boh!
Cioè capiamoci, è stata un’esperienza intensa, come sempre, eppure è stato tutto un po’ diverso questa volta.

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Ennesima partenza post-lavoro, ennesima valigia fatta quasi buttandoci dentro cose random, ennesimo viaggio con tempistiche ad incastro e switch sempre più veloci.
Fino a pochi giorni prima di salire su quell’aereo che mi avrebbe portato in Germania aleggiava pesantemente il timore che alla fine l’abbraccio che tanto attendevo non sarebbe arrivato. Per fortuna mi sbagliavo.

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A sto giro, per quanto avessi la consapevolezza di aver bisogno di perdermi nelle mie certezze, ero sicura che sarebbe stato diverso…che, nonostante tutta la gioia del mondo, difficilmente quel retrogusto amaro mi avrebbe abbandonato.
Non c’era davvero ansia questa volta, era più trepidazione, una frenetica attesa del momento in cui non avrei più pensato a ciò che, per quanto non volessi, ancora turbava i miei pensieri.

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La scelta di iniziare da chi non avessi mai incontrato mi era sembrata quella più giusta da fare, ma non potevo neanche immaginare quanto di più sbagliata potesse essere. Disorganizzazione e isterismo hanno caratterizzato le prime ore della giornata, sentivo già la puzza della sfiga quando ho optato per un cambio di programma.
Non credo di aver avuto il tempo di metabolizzare dove fossi quando ho incrociato il suo sorriso. La situazione era la classica da catena di montaggio, quasi più rapida del solito…insomma è arrivato il mio turno e non avevo idea se i miei capelli fossero apposto, se il rossetto fosse sbavato, se io fossi pronta…se si fosse ricordato di me.

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Il suo sorriso ha resettato ogni mio dubbio, dissipato ogni mio timore.
Mi ha abbracciato e mi sono ricordata come ci si sente quando va tutto bene.
Come stai?
Adesso bene.
Perché?

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Che vuol dire perché?!?
No veramente, non credevo fosse necessario un disegnino per spiegare il motivo. Ovvio. Lampante. Talmente scontato da essere banale…eppure lui ti fissa quasi preoccupato e tenendoti per le spalle ti chiede perché.

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Perché ci sei tu?
So che non è carino scuotere la testa per sottolineare l’ovvietà di un’affermazione, ma sono totalmente incapace di controllare la mia mimica. Ha riso, per fortuna. Mi ha stretto per la foto per poi bloccarmi mentre stavo andando via.

Aspetta devo raccontarti una cosa!!

Io avrei voluto avere una fotografia della mia faccia in quel preciso istante. Devo aver strabuzzato gli occhi cercando di capire con chi stesse parlando.

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Credo che in quell’istante anche lui deve essersi reso conto di aver bloccato tutto il meccanismo perfetto, come un ingranaggio che ha smesso di girare.

Hai un’altra foto, no?

Non adesso, domani.

Ok. Perché devo raccontarti una cosa troppo divertente. Ho scoperto una cosa davvero divertente. Devo raccontarti una cosa troppo divertente.

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Ho scoperto che il mio secondo nome è italiano.
Fermiamoci un secondo ed immaginate che la persona che avete amato da sempre vi abbia appena detto una cagata pazzesca. Fatto? Bene, quale sarebbe la vostra espressione?
La mia quella di una perfetta ebete che cercava di assecondare quel delirio cercando di non ridere fingendo un interesse smisurato per questa storia esilarante.
Italiano? Ma davvero? Voglio saperlo.
La sua mano sulla mia spalla. I suoi occhi nei miei.
Dopo te lo dico. Si, dopo ti dico tutto.

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Sono andata via perplessa. Non riesco a pensare ad una parola differente per il mio stato d’animo in quel momento. Negli anni di cose senza senso me ne aveva dette, ma a quello pseudo discorso proprio non riuscivo a dare una motivazione.
Non che ci avessi perso il sonno, insomma la questione è stata ben presto archiviata con un classico è un idiota.

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La giornata è stata lunga, l’isterismo intenso, la sua patatosità infinita.
Hello, Italy.
Al nome ci stiamo ancora lavorando, prima o poi sarò io a pensare di avere un nome differente a seconda dello stupido nomignolo che usa ogni volta, ma è palese che adori sottolineare la mia provenienza. E ammetto di adorarlo.

Il secondo giorno forse è stato ancora più un delirio del primo: tutti avevano paura di non riuscire a fare tutto ciò che avevano programmato.
Il momento foto è stato talmente veloce da non essere quasi classificabile…di altra storia sono stati invece i selfie.

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Devi ancora dirmi del secondo nome italiano.
Ti prometto che ti dico tutto.

In realtà non mi ha detto il nome neanche il giorno dopo, ma giusto qualche giorno fa ha scoperto di non essere un Carter e, stando all’indizio lasciato, sembrerebbe proprio che le sue origini siano italiane. Insomma, le sue parole hanno smesso di essere un totale NoSense.

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E’ stato tutto perfetto…o quasi.
La verità è che quando una ha un bel carattere, ha un bel carattere sempre.
Così quando nel momento dell’ultimo selfie di questo folle viaggio ho avuto la sensazione di non aver meritato quante attenzioni meritassi, non ho esitato un solo istante a brontolare.

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Non sono riuscita a darti neanche un bacio.
Perché?
Perché tu sei alto. Io sono corta.
Ah, ok.

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Ok???
Quelle che voi vedete alla fine sono bellissime foto, si…fanculo la modestia.
Io rido perché ok, lo dici a tua sorella…Ehmm…
Sarebbe stato meglio avessi detto di non aver capito.
Lo so, dovrei imparare a stare zitta…ma stare zitta non è proprio arte mia.
Anche se ti chiami Nick Carter.

Lo so, a sto giro poco amore…poche frasi da romanzetto rosa.
Mi mancava da morire eppure la magia ha funzionato un po’ meno.
E’ sempre Lui…io ero solo un po’ meno Me.

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È stato un weekend caratterizzato da un mal di testa atroce che non mi ha dato tregua, dagli antidolorifici presi come fossero caramelle, dalle file interminabili e da quelle saltate perché di base odio aspettare.

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Un weekend fatto di luci di Natale e würstel giganti, di boccali di birra e odore di zucchero, di punsh di mele e rhum che ti scaldano l’anima.

 

Un weekend di delirio e odio verso i tedeschi, di parole a caso e conversazioni senza senso.

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E’ stato il weekend di Hello, brother.
Perché anche dopo aver desiderato di dargli fuoco e vederlo divenire cenere come fanno i vampiri, alla fine, nell’esatto momento in cui non ci credevo più, è successo…ed è stato un momento tenerissimo. I suoi occhi fissi nei miei mi hanno fatto mancare l’aria rendendomi di colpo una ragazzina, la foto venuta male è stata il biglietto magico per un altro giro tra le sue braccia.

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…e adesso non mi resta che aspettare la prossima avventura.

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Il bello di essere umani.


Si torna a scrivere sempre quando si vorrebbe stare in silenzio per un po’, ma la testa non è poi così d’accordo. Nei giorni scorsi ho desiderato avere un po’ di tempo da sola con il mio pc, con il foglio bianco che adesso si sta riempiendo di quelle parole che girano in tondo nella mia mente e proprio non riescono a trovare una collocazione.

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La premessa dei miei post sembra essere sempre la stessa, come se mi sentissi sempre in dovere di giustificarmi con qualcuno della mia assenza…come se a qualcuno potessero importare questi farneticamenti.
La verità è che, dopo probabilmente un’eternità, il vero scopo di questo fiume in piena non è quello di creare un testo accattivante che mi ricordi che a scrivere sono brava ma semplicemente è quello di dialogare un po’ con me stessa. Proprio come accadeva la prima volta che mi sono convinta ad aprire un blog.

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Forse la frase che più ho sentito dire in questi giorni è stata:
E’ strano vedere che anche tu sei umana.
Come può un’affermazione del genere riuscire a non destabilizzarti almeno per un po’?

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E’ come se tu fossi diversa, credevo quasi tu fossi un robot. A volte sembra che non hai emozioni, niente ti tocca. Vai dritta per la tua strada finchè non ottieni quello che vuoi. Vederti umana è strano…ma è bello. Non tornare ad essere un robottino.

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Siamo così abituati a guardarci allo specchio, o nella fotocamera del nostro cellulare, che ascoltare come gli altri ci percepiscono è quasi sconcertante. Crediamo di fornire un’immagine di noi stessi e, invece, c’è chi riesce a guardare oltre e a raccontarcelo quando forse ne abbiamo bisogno; quando è tutto un po’ confuso, quando è tutto un po’ sfocato…quando gli ingranaggi del robottino sembra si siano inceppati.

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Sei solo umana!
Ma essere umani è sopravalutato, se proprio non mi consentite di dire che fa schifo!

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E’ che essere umani ti fa sorridere leggendo un messaggio, ti fa aspettare quel messaggio, ti fa ridere di cose che non fanno ridere, ti fa osservare il meteo e pensare a cose di cui non dovrebbe fregarti nulla, ti rende stupida come quando avevi 15 anni, ti rende triste e malinconica, ti fa parlare con la tua coscienza, ti fa desiderare di spaccare la faccia a qualcuno e ti fa venire voglia di prendere il primo aereo e scappare in Brasile.

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Essere umani ti costringe a scegliere…e scegliere di fare la cosa giusta fa schifo.

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You can call me: Hey!


Sono giorni che cerco tra i meandri della mia testa quale fosse quella canzone che parlava di giochi mai vinti che tanto avrei voluto usare come didascalia di alcune foto postate al ritorno da questo ennesimo folle viaggio. L’unica frase che mi torna in mente è quella della Pausini: sei un gioco che non vinco mai, sei il mio sbaglio più grande…non era la citazione che cercavo.
Probabilmente la ricorderò quando non ne avrò più bisogno o forse, molto più verosimilmente, non è mai esistita.

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L’ennesimo giro di parole inutili per iniziare un post che di parole forse ne avrà un milione o due. Perché succede ogni volta così quando torno da un viaggio…soprattutto se in quel viaggio ci sei Tu.

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È passata una settimana, sembra già una vita fa.
Ormai è quasi scontato per me pensare di non avere più tempo per queste cose, non avere più la testa per questa leggerezza. E’ come se ogni volta temessi quasi di non avere più voglia di tornare quella 15enne che tanto mi sta simpatica.
È ormai scontato che mi bastano poche ore post partenza per smentire ogni paranoia precedente.

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Anche questa volta è stato così, lo dimostra il fatto che io abbia preso il biglietto del treno che mi avrebbe portato a Roma, dove tutto avrebbe avuto inizio, solo il giorno prima della partenza; ancor di più, forse, lo dimostra il mio riscontrare silenziosamente in ogni piccolo intoppo un segnale che tutto sarebbe stato uno scatafascio.
Ho sbagliato strada per andare in stazione.
Non sono riuscita a prendere il treno prima perché c’è stato un incidente.
Ho aspettato un’ora in stazione e le patatine mi hanno disturbato lo stomaco.
Un tizio ha lasciato uno zaino a terra affermando si trattasse di una bomba.

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Eppure questa volta non c’era l’ansia a farmi compagnia…e la cosa mi metteva un’ansia strana addosso.
Il pensiero che potesse finalmente essermi passata ha tormentato le ore trascorse in attesa che la magia avesse inizio; la sola idea che le farfalle nello stomaco fossero morte e che neanche più Tu riuscissi a farmi sentire viva mi terrorizzava.
Se fossi cresciuta pur non avendo mai chiesto di farlo?

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Abbiamo sopportato la pioggia, mangiato cibo liquido, corso e sconfitto le vacche montagne ragazze tizie svizzere e conquistato la transenna; siamo sopravvissute alla puzzona che scorreggiava come se avesse appena ingerito un cadavere putrido, abbiamo atteso con ansia il momento in cui l’enorme schermo è sceso giù e le luci si sono spente…e poi finalmente loro…finalmente Tu.

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Il non averti incontrato il pomeriggio aveva lasciato spazio nella mia mente per il più catastrofico dei pensieri: non sarebbe mai stato come le altre volte, non avevi idea che saremmo state li. Ed è stupido e patetico ma non riuscivo a non provare un senso di tristezza per questa inutile consapevolezza; non giudicatemi voi che mi state accompagnando in questo viaggio strano tra le emozioni di una quindicenne: un loro concerto è spettacolare perché la loro musica tocca le corde della mia anima ogni volta…ma è sempre Lui a renderlo unico toccando corde che neanche vi sto a raccontare.

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Adoro come riesci ogni volta a trovarmi tra la folla, come ridi, come la tua faccia assume espressioni che portano lontano i miei pensieri, come ormai abbia deciso di cambiare nome sulla carta d’identità per diventare la tua Hey.
Ma soprattutto adoro come io riesca ancora a stupirmi di tutto ciò.

Non ero sicura di essere pronta ad incontrarti davvero. Non lo sono mai. Mi hai sorriso, come sempre.Mi hai detto ciò che ormai mi dici sempre, ti ho rimproverato per la scarsa memoria, hai finto dispiacere, abbiamo sorriso…poco prima che Mike mi spostasse di peso perché ogni volta rompiamo il cazzo a qualcuno per quei pochi secondi rubati in più.

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Il party a Zurigo è stato un delirio, mi sentivo piccola e schiacciata da quelle montagne con le gambe. Ancora una volta hai sorriso vedendomi ancora li (prima o poi dovrai pagarmi la pensione, amico bello), la tua mano ha cercato la mia proprio subito dopo che avevo appena dato una botta alla demente che continuava a poggiarmi il braccio sulla testa, hai sorriso probabilmente per la scenetta appena vista e l’hai stretta forte fissandomi negli occhi.
Ed io sono diventata brava a non piangere ogni volta che vorrei farlo, sto migliorando.

E’ quando la stanchezza inizia a farsi sentire per davvero che inizi a percepire che i ventanni sono ormai un ricordo e che, nonostante lo spirito sia in piena adolescenza, il corpo non è più lo stesso. Sia chiaro, non credo che né io né le mie amiche siamo propriamente delle vecchie decrepite, ma davvero non riesco a ricordare di essermi sentita così stanca come quando finalmente ho poggiato la testa sul cuscino nel nostro monolocale di Zurigo.
Inutile dire che non ci fosse tempo per riposare: nuovo giorno, nuova corsa, nuovo aereo da prendere, nuova città da raggiungere, nuove emozioni da cui farsi travolgere.

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Credo che nessuna di noi avesse ragionato molto quando abbiamo scelto la compagnia che ci avrebbe portato a Praga, non mi spiego altrimenti il nostro stupore quando abbiamo realizzato che avremmo volato con una compagnia cinese e che quello con Cinciulin sarebbe potuto essere il nostro ultimo viaggio in tutti i sensi.
Il ritrovarsi il gruppo di supporto seduto nei seggiolini avanti ed averli usati per farci sistemare la valigie ha sicuramente tranquillizzato i nostri animi inquieti (sicuramente lo scoprire che fosse un aereo da tratta intercontinentale ha funzionato di più)…ma le hostess con il grembiule da Panda hanno vinto assolutamente su tutto.

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Se Zurigo era stato un assaggio di come fosse tornare ragazzina, Praga è stata la portata principale; perché la verità è che quando siamo tutte insieme peggioriamo fantasticamente e la nostra età mentale cala vertiginosamente. Credo sia questo il motivo per cui prima di andare al palazzetto, ma subito dopo aver mangiato, ci siamo ritrovate a scivolare su un bob in mezzo alla natura urlando peggio delle bambine.
Si, avrei dovuto dire come delle vere e proprie deficienti…e ci amo per questo.

Scontrarsi con il Backstreet’s Time non è mai piacevole, dire ad che tu il suo lavoro lo fai meglio però non ha prezzo; sbattertene i coglioni delle sue direttive ed organizzare una rivolta per prendere quello che è tuo di diritto è pura poesia.
La velocità del momento è sempre qualcosa di disarmante e a sto giro vuoi la stanchezza, vuoi il preciclo, vuoi che ormai sto diventando una vecchia bisbetica, vuoi che avevo voglia di scamazzarlo già il giorno prima ma Mike che mi si è avvicinato per invitarmi a muovermi a fare la foto mi ha proprio urtato il sistema nervoso e ringrazierò sempre il mio pessimo carattere per la dolce reazione avuta.

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Mi hai assecondata, come sempre. Hai seguito le direttive ricevute personalizzandole a modo tuo…come sempre, l’ho già detto? Mi hai stretto come se fossi un bambino che stesse soffocando e tu ti stessi impegnando nell’effettuare la Manovra di Heimlich.
Il mondo si è fermato, come sempre.

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Il concerto è stato pazzesco, Tu sei stato pazzesco.
E non so per quale stupida ragione ti diverti a giocare con me, ma ho smesso di pormi domande e ho iniziato a godermi il momento. Per un solo istante i tuoi occhi si intrecciano con i miei e mi regali il Paradiso.
E poco importa se sembro patetica, se quando ti guardo ho la faccia da ebete e gli occhi a cuoricino; se mi dedichi attenzioni perché sono una povera cogliona che ti regala soldi o che magari ridi alle mie spalle quando vedi l’emozione colorare il mio viso. Poco importa se è solo un istante che durerà per sempre, se mi sento sempre un po’ più persa nelle mie emozioni, se mi isoli e mi isolo per paura di esternare cosa penso davvero, se mi sento sola quando invece vorrei piangere ed urlare, se vorrei parlare per ore di ogni tuo gesto e finisco per minimizzare perché sono la prima a sentirsi cogliona. Poco importa quello che mi circonda, se per un solo istante il mondo si ferma e ci sei solo Tu.

img_3250 Non so neanche io perché ho dato tutta questa libertà ai miei pensieri questa volta, sarà che esattamente 20 anni fa assistevo al mio primo concerto, sarà che sono passati 20 anni esatti dal mio primo questo sarà l’ultimo perché poi si sciolgono, sarà che so che ci saranno altre lacrime e altri abbracci pensando che davvero sarà l’ultimo prima o poi.

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20 anni fa ero un puntino tra la folla…adesso sono il puntino che cerchi tra la folla.

Pensieri Random di una 15enne · Pensieri Sparsi

You Think you Know…


Quando la vita inizia a somigliare sempre più un trenino delle montagne russe da cui è impossibile scendere, inizi a chiederti se sarai davvero in grado di staccare da tutto e tutti almeno per un giorno.
Inizi a temere che lo switch per tornare 15enne possa non funzionare più, come se all’alba dei tuoi 34 anni essere grandi possa essere l’unico modo di affrontare la vita.
Inizi a non sentire per davvero le solite ansie che hanno da sempre accompagnano questi eventi, non hai tempo per ascoltare quella vocina flebile nella tua testa che cerca invano di attirare la tua attenzione.

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Funziona che prendi un aereo di corsa subito dopo un’intensa giornata di lavoro, riabbracci le tue amiche mentre cercate un posto in cui mangiare poiché tutto quello che hai in corpo sono due mini Philadelphia e 4 patatine prese dal distributore automatico, finisci sotto il loro hotel assecondando il tuo animo da stalker ma, anche dopo aver chiacchierato con Mike, sei lì a pensare alla serratura della porta della barca che non sei riuscita a recuperare prima di partire.

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Succede che sei davvero stanca eppure pian piano le chiacchiere e le risate delle amiche che man mano iniziano a circondarti iniziano a fare la magia; non sai bene dove sia nascosto quel pulsante magico ma senti che, quasi senza rendertene conto, lo switch avviene. Senti il suono della tua risata, forse un po’ più isterica del solito, che risuona nell’aria…e l’ansia, quella che aspettavi, finalmente prendere possesso della tua testa.

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È sempre un viaggio strano nei meandri dei sentieri tortuosi della mia testa, eppure ogni volta è una nuova avventurache, anche se a rilento, adoro mettere nero su bianco.

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E’ stato un viaggio strano. Credo che ce lo siamo ripetute un miliardo di volte a sto giro.
L’aver deciso, circa 7 mesi fa, che ancora una volta sarebbe stato compito nostro rendere quella serata magica si è rilevata un’impresa più complicata di quanto potessimo immaginare. Le reazioni incredule e felici di 5 anni fa erano ancora troppo impresse nelle nostre retine e, nonostante lo scetticismo iniziale, provare a scappare da questo impegno sembrava impossibile. E così è stato.
La mole infinita di cose che possono cambiare in 5 anni è, a dir poco, infinita.
Ma 7 mesi fa non potevamo neanche lontanamente immaginarlo.

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Sono stati 7 mesi intensi.
7 mesi in cui, oltre alla confusione e agli impegni delle nostre vite (che in 5 anni sono diventate stressanti e complicate in maniera esponenziale), ci siamo ritrovate a combattere contro a restrizioni e autorizzazioni, presentazioni e progetti da sottoporre a Sony e Live Nation, attese per il benestare del managment americano, fornitura e logistica dei materiali, ansie e liti, risate isteriche e battibecchi telefonici alla ricerca della pura magia.

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E’ con un carico maggiorato di ansia che è iniziata la giornata del 15 Maggio.
Mentre tutti erano a programmare come beccarli fuori dall’albergo, noi eravamo a ritoccare gli schemi da attuare per riuscire a far funzionare la macchina da guerra che avevamo messo su. Mentre mettevamo in ordine trucco e parrucco ripetevamo come delle ossesse il materiale da portare, le persone da chiamare, le cose da non dimenticare. Si, esattamente come delle pazze.

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Siamo passate fuori dall’albergo forse più per sentirci almeno per 5 minuti delle fans normali che non stavamo morendo di ansia da prestazione.
I 5 minuti che a me sono serviti a ricordare il senso di tutta la giornata.
Ero nervosa, agitata e forse più acida del solito…fino a quando, grazie a chi forse aveva capito più di me di cosa avessi bisogno, finalmente TU.

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La scena è stata tragicomica, forse più del solito.
“C’è Nick, salutalo.”
“No. Non voglio.”
Cosa mi avesse detto il cervello io ancora non lo so. A te, per fortuna, non importa.
Uno sguardo. Il solito. Una linguaccia. Come sempre. Un bacio. Le mie lacrime.

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Perché diciamolo pure: mi hanno vista tutti piangere.
Probabilmente c’è chi ha goduto non capendo il momento, forse c’è chi mi ha giudicato male…a qualcuno magari ho fatto anche tenerezza (si, lo so, è impossibile).
Ho pianto perché era passato un anno ma in realtà non era passato un solo istante.
Ho pianto perché era passato un anno ma non era cambiato nulla.

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Il mio umore è cambiato, almeno per un po’.
Ma non c’era tempo per crogiolarsi, la corsa contro il tempo era ormai iniziata: la corsa al filaforum di Assago, il controllo della correzione delle stampe sbagliate, il pranzo al volo che ti fa rendere conto che sei passata dai panini del Mc Donald’s al risotto con i gamberetti, l’incontro con i tipi di Live Nation mentre stai ancora cercando di portare il cibo alla bocca, lo scarico della mole infinita di materiale, il dissuasore del traffico che non ne voleva sapere di lasciarci libera la strada, il biglietto del concerto finalmente tra le mani, ritardi non giustificati e assenze poco chiare, ansia, stress ma tanti volti amici che con passione erano li a ricordarci che Siamo una squadra fortissima.

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Si ringrazia Alessandra per avermi reso presentabile nonostante la stanchezza e lo stress sul viso; per aver cercato di rendermi nuovamente una persona normale.

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Ci eravamo preparate per 7 mesi per quel momento e non poter essere dentro con le ragazze ad ammazzarci fisicamente di lavoro e coordinare tutto il lavoro lentamente ci ha ucciso. Essere in fila per dare inizio al divertimentoe non riuscire a staccarsi dal telefono per capire se le ragazze sono entrate, se è fattibile fare il lavoro in quel poco tempo, se il lavoro di tutti riesca a non essere vano. Essere in fila e capire che hanno fatto casino con le autorizzazioni, temere che nel parterre non si potesse mettere più nulla, cercare un piano di riserva senza smettere di trovare una soluzione per far andare avanti il primo.

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Fare il giro del backstage, vedersi passare Briandi fianco e continuare ad osservare se le ragazze stanno posizionando i fogli in maniera corretta. Scorgere i cuori in platea e sentire il proprio scoppiare nel petto.

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Credo di essermi ritrovata in fila per fare la foto senza neanche rendermene conto, di aver capito cosa stesse accadendo solo quando sono entrata in quella stanza.
Finalmente loro. Finalmente Lui.
Dopo anni mi sono ritrovata a pensare: Esistono davvero.Non ero pronta a quel momento, non mi ero preparata affatto. Era tanto che non mi sentivo così impreparata.

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Le braccia di Brian le prime ad accogliermi. Adoro i suoi abbracci.
Di Alex ricordo sempre troppo poco…i miei occhi erano stati già calamitati dai suoi.
“Oh…Hey.”
E persa tra le tue braccia mi sono sentita nuovamente a casa. E tu sei uno stronzo e lo sai.
I want a BIG hug from you!”
Chissà cosa volessi veramente dire in quel momento. Kevin ha riso e sottolineato che io volessi un BIG HUG FROM YOU…GRANDE…hai riso…io volevo morire…mi hai abbracciato e stretto più forte al momento della foto (grazie, mi ero preoccupata di non riuscire ad avere la solita faccia da allucinata cronica). Hai riso di nuovo e mi hai abbracciato di nuovo. Ti ho dato un bacio sul collo perché non si dica che la testa mi assista in quei momenti. Mi hai abbracciato di più mentre Kevin guardava divertito probabilmente pensando ancora che sono un’analfabeta funzionale.
Ho salutato Kevin, due baci sulle guance e lui mi ha abbracciato. Come fa sempre, con tutti, come per dire Grazie.
Mi sono trovata Howie sulla strada verso l’uscita…puoi davvero non salutarlo?

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Ho lasciato la stanza frastornata e la prima frase che ho sentito è stata:
“C’è un problema con la Fan Action.”
Sono sbiancata. Anche il tizio della sicurezza aveva capito quanto fosse facile prenderci in giro in quel momento.

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Ho bevuto. Tanto e di gusto. Ho riso in compagnia delle mie vecchie amiche di sempre e di quelle nuove appena scoperte. Abbiamo brindato come se non ci fosse un domani  perché del domani poco ci importava: in quel momento eravamo felici, ma felici per davvero.
Era la quiete prima della tempesta. E lo sapevamo.

Arrivata nel circle è iniziata la battaglia: ancora fogli da consegnare, direttive da fornire, starlights da far brillare, una stronza da mandare a cagare (perchè quando deciderò di portare croccantini per calmare gli animi di quelle animali sarà sempre troppo tardi).
Che poi, apro e chiudo parentesi, ma io dico: piccola imbecille davvero credevi di poterla avere vinta contro di me? PORACCITUDINE HAS NO LIMITS.

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Insomma, il telone è calato letteralmente sulle nostre teste e lo spettacolo ha avuto inizio.
E’ stato strano.Il cuore batteva forte, Tu eri semplicemente il solito Tu a cui sono ormai affezionata, l’adrenalina era a mille eppure i nostri occhi fissavano la scaletta in attesa del momento della verità.

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Sulle prime note di Incomplete mi è mancato il respiro. Ho chiuso gli occhi per una frazione di secondo. Speriamo vada tutto bene. Li ho riaperti ed è stata magia.
Siiiii. La prima è andata. Abbiamo urlato, le nostre mani si sono incontrate in un battito di gioia. Possiamo respirare, per un po’.

Avevamo superato il primo test, ma il vero esame lo avremmo sostenuto a breve.
Ho perso un battito quando Shape of my Heart ha iniziato a risuonare nel forum, ho ascoltato tutta la parte di Nick quasi senza respirare…e credo che il video spieghi meglio di me cosa sia accaduto.

Abbiamo pianto. Ci siamo abbracciate tra i singhiozzi di chi sa di esserci riuscita, nella consapevolezza di aver creato qualcosa di grande. Tremavamo incredule della magia che due teste vuote erano riuscite a tirare fuori da un cappello fatto di ansie, sogni e testardaggine da vendere. Piangevamo per le ragazze che ci avevano dato fiducia, per chi ci aveva dato soldi e chi era diventato le nostre braccia e le nostre gambe. Piangevamo per lo stupore disegnato sui volti di chi da anni ci regala emozioni.
Lacrime e gioia. Ce l’abbiamo fatta. Finalmente potevamo goderci la serata, la nostra serata.

Il concerto è stato pazzesco. Loro sono stati pazzeschi. Noi siamo state pazzesche.
Ma neanche a questo punto della storia c’era il tempo per fermarsi a festeggiare, di corsa in macchina per raggiungere un locale dalla parte opposta di Milano per l’afterparty.
Ovviamente in ritardo, ovviamente le ultime ad entrare nell’area Vip praticamente pochi istanti prima che arrivassi Tu e l’altro.

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Altro giro, altra corsa.
Solo adesso che metto nero su bianco il tutto, mi rendo conto di non aver salutato Howie; sono venuta direttamente da te.  Il tuo sorriso mi uccide ogni volta.
“Hello, Kitty.” – Ti è concesso solo perché sei Nick Carter, lo sai, si?
Mi hai abbracciato e hai riso quando ti ho detto che Howie nella foto non lo volevo.
E’ solo in questo momento che mi sono resa conto di lui, con voce carina e coccolosa gli ho detto:
“Facciamo che tu ti metti qui e fai un po’ quello che vuoi. Ecco, bravo qui. Sorridi. Fai la faccia arrabbiata. Fai quello che vuoi. Non ci mettiamo in la, eh!”

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Tu hai riso divertito. E’ l’effetto che ti faccio.Un altro bacio…un altro segno.

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Ricordate lo switch di cui parlavo un milione di parole fa?
Ricordate tutte le ansie di non essere più capace di vivere il momento?
Parole…parole…parole.
Mi perdo nell’azzurro dei Tuoi occhi ogni volta come fosse la prima, mi sento a casa quando mi stringi tra le tue braccia cicciottose, la morbidezza della tua pelle e il suono della tua risata. E’ sempre un fiume di parole senza senso quando provo a raccontare cosa vivo in quel momento, perdo il filo insieme al senno ogni volta che i miei occhi si incrociano con i tuoi. Torno 15enne e torno stupida, sono felice. Di quella felicità puttana che è come una droga. Un’astinenza continua che mi spinge a fregarmene delle poche ore di sonno prima di tornare a lavoro, a fregarmene delle risatine di chi non capisce, a fregarmene di chi  vuole fare i conti nel mio portafogli.

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E’ l’ansia che torna a scalfire la mia serenità; un uragano che ogni volta mi lascia per giorni in balia di quelle emozioni che mi stravolgono l’esistenza e mi ricordano che non viva. Ma viva per davvero.

img_5811Come ogni volta è un libro più che un racconto…ed è neanche la metà di cosa si affolla nella mia mente.
Come ogni volta i gioielli più brillanti sono le amiche con cui condivido questi momenti, eppure questa volta c’è qualcuno in più da ringraziare. Lo abbiamo fatto per giorni ma non è mai abbastanza.

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Come sempre però il grazie più grande lo devo a Me stessa per ogni volta che osservo impaurita le mie ansie fissarmi e deciso di essere più forte di loro; per tutte le volte che temo di non farcela e mi dimostro che mi sbagliavo; per quando cedo alla tenerezza di un abbraccio o al bisogno di avere vicino le mie amiche; per quando metto il telefono in modalità aereo e decido che il tempo per me è un momento sacro.

Grazie a me che mi concedo di essere Me quando sono con Te.

Pensieri Random di una 15enne · Pensieri Sparsi · Recensiti per Voi ♥

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Il fatto che in crociera io sia scappata dalla sala durante il pre ascolto dei brani fini ad allora registrati non mi aveva di certo creato buone aspettative sul nuovo lavoro. Mentre tutti attendevano il 25 Gennaio come i bambini attendono il Natale, io cercavo di convincere me stessa a non avere pregiudizi.

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Inutile mentire: il cd l’ho ascoltato qualche giorno prima della sua uscita ufficiale!!!
L’ho ascoltato mentre lavavo i capelli, poi li asciugavo ed infine li lisciavo…insomma l’ho ascoltato facendo totalmente altro e ad un primo ascolto nessuna nota aveva fatto vibrare la mia anima.

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È stato solo quando io e la nuova musica abbiamo avuto tempo di incontrarci per davvero che ho potuto davvero ogni traccia di questo cd figlio più che mai del Backstreet’s Time.
Non ci sono grandi hits in questo ultimo lavoro dei Backstreet Boys, nessun capolavoro che prenderà il posto di Tell me why….(chi si ricorda davvero che si chiama I want it that way?). Ma ce ne sarà mai uno?

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Quello che sento io quando ascolto questo cd sono 12 storie, che probabilmente se avessi più tempo e fantasia amerei tanto raccontarvi.

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  1. Don’t go breaking my heart

Ha spopolato nelle radio in America, eppure io tendo a saltarla quando ascolto il cd. È un problema mio con alcune tonalità di voce, ci sono alcune frequenze che mi creano nervosismo…e questo pezzo ne contiene un botto. Sorry.

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2. Nobody else

Non riesco a non chiudere gli occhi e lasciare la me 15enne pensare all’uomo che non vuole dividere con nessun’altra. Lauren puoi farti da parte grazie?

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3. Breathe

Ammetto senza vergogna alcuna che la prima volta che ho ascoltato questo brano dei Neri per Caso, ho stoppato la riproduzione prima che la mia mano afferrasse la lametta e le mie vene iniziassero ad attirare Edward Cullen. Per giorni mi sono rifiutata di ascoltare questo strazioche però pian piano ha trovato una sua collocazione:
Don’t let go when the daylight’s gone
‘Cus it’s always darkest before the dawn
I breathe, breathe, oh
Io respiro, quando il buio inizia a farmi paura…io respiro.

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4. New Love

Questa mi crea proprio difficoltà.
I want all of you all over me
In any dark room, ooh, ooh
And I don’t wanna know your name (No)
Just let me do what I do, ooh yeah, baby (Oh)
Ma a parte le mie difficoltà, il sound di questa canzone mi racconta qualcosa di così dirty da poter essere la colonna sonora di una notte alla Chuck Bass.

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5. Passionate

Seh, di male in peggio. Ma non cantavano roba di sole, cuore, amore?
E ditemi che non solo la sola che non riesce a non associarla al biondino.
Oh, e non parlo solo delle sue mani lunghe (o quelle di chi lo approccia, perché non sono l’unica che allunga le mani eh)….ma vogliamo parlare del tocco di classe del testo di questo pezzo?

All I want is everything
Too much adrenaline
And all I do is anything
But like a gentleman
Dopo le accuse di violenza sessuale, meglio pesare le parole…vero, Carter?

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6. Is it just me

Sentite il mio cuore spezzarsi in mille pezzettini? Chiudo gli occhi e mi lascio trasportare nella struggente storia raccontata dalle loro voci. La colonna sonora per scrivere la fine di un amore. Perché, in fondo, chi tradisce una volta, tradirà sempre. Prima o poi scriverò.

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7. Chances

Come si può non pensare a tutte le scelte fatte? A tutte quelle strade imboccate, quegli svincoli in cui abbiamo deciso di svoltare? Come si può non domandarsi cosa sarebbe la nostra vita se quella volta le cose sarebbero andate diversamente…
Quante possibilità ci sono nella vita…quante ne perdiamo senza neanche accorgercene.

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8. No Place

There is no place like you.
Poco mi importa per chi sia stata scritta questa canzone, per me il No place like you restano loro 5 e la parte di me che ritrovo quando ci sono.
E’ quella la casa in cui voglio tornare, sempre.

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9. Chateau

Come non immaginare l’intera scena anche in questo caso?
Ora, io mi sto drogando di Gossip Girl e non faccio testo, ma…lui seduto al tavolo che ha appena ordinato il suo Chardonnay preferito, lo sguardo incupito di chi sa che lei non verrà ma non riesce a smettere di sperare. Lei che arriva, lo vede e, nonostante tutto, sorride…
Ok, la smetto…

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10. The way it was

Partendo dal fatto che io voglio capire cosa avessero i capelli di lei che lo disturbavano così tanto da doverlo scrivere in una canzone; non riesco ad ascoltare questo pezzo senza dondolare come una cretina. Ditemi che non sono l’unica.

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11. Just like you like it

La sensualità di questa canzone mi devasta. Sarà la melodia, saranno le loro voci, saranno le parole…diciamo che dopo l’incontro allo Chateau la serata è andata decisamente bene.

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  1. OK

La amo, sin dal primo ascolto. Non riesco a non muovere il sedere come una povera scema. Mi fa venire voglia di estate e cocktail, di sole e spensieratezza, di vento tra i capelli e risate tra amiche. Adoroooooo.

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Io non riesco dirvi che sono tornati, mi sembrano così diversi…ma li amo ancora di più.
Adoro quanto questo cd sia sexy, quanto i testi mi portino a pensare a cose che non siano la passeggiata in spiaggia al chiaro di luna; adoro immaginare quanto saranno devastanti live alcuni brani.
Se dopo 26 anni, hanno ancora qualcosa da raccontare un motivo ci sarà.

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Non sono un’esperta di musica e non mi spaccerò per tale, parliamoci chiaramente non ho ancora ascoltato il cd di Fedez semplicemente perché ha scelto una data infelice per mettersi sul mercato. Quello che però so è che un pezzo mi fa venire voglia di chiudere gli occhi e sognare è quello giusto, se ci sono note che inducono il mio sedere pesante a muoversi da solo sono quelle giuste, se c’è una melodia che calma i miei nervi è quella giusta, se c’è una voce che mi fa desiderare di essere ad un concerto è quella giusta.

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Se la mia testa non smette di dondolare neanche mi fossi tramutata in Kiss me Licia nella sigla, direi che sto ascoltando qualcosa che semplicemente adoro.

Pensieri Random di una 15enne · Pensieri Sparsi

#10yearschallenge


Sono giorni che sui social, da Instagram a Twitter passando per Facebook, spuntano come funghi collage accompagnate dall’hashtag #10yearschallenge (si lo so, anche foto di uova ma mi rifiuto categoricamente di dare importanza a questa follia globale).
Di cosa si tratta? Ad essere onesta la rima volta che ho visto l’hashtag richiedeva espressamente di postare la prima foto profilo usata su Facebook e di confrontarla con l’ultima utilizzata: una forma di autodenuncia di quanto tutti siamo diventati bravi ad utilizzare i filtri giusti per postare foto sui social abbandonando definitivamente, e finalmente oserei direi, quelle oscenità che venivano fuori da siti come Picnik (eddai, devo davvero sottolineare che adoravo rovinare le mie foto con quelle mostruosità?)
Insomma, per poter sfociare su tutti i social e generare una vera e propria invasione dal sapore retro’, il tutto è stato semplificato diventando: metti a confronto una foto di dieci anni fa con una di adesso.
Nel giro di pochi giorni l’ormai dimenticato 2009 della maggior parte della popolazione socialmente attiva ha trovato nuovo lustro. Come se di colpo tutti, dalla più popolare delle influencer alla figlia del salumiere sotto casa, avessero sentito l’irrefrenabile bisogno di mostrare al mondo quanto si possa cambiare in 10 anni, quanto si possa crescere, quanto si possa migliorare.
Il web è stato inondato da questo mare di ricordi, ricoperto da un velo di malinconia per gli anni trascorsi e da uno strato di fierezza della bellezza della foto più recente. Ho già menzionato il fatto che siamo diventati tutti più bravi ad utilizzare i filtri per migliorare le foto postate?
Per quanto mi riguarda: non posso farci nulla, non riesco proprio a resistere; non riesco a volgere lo sguardo altrove e restare indifferente. Lo ammetto: anche a questo giro ci sono cascata.
2009 – 2019
Sono cambiata così tanto?
Pensieri Random di una 15enne · Pensieri Sparsi · Weird World ❤

Buon NON compleanno a me!


La verità è che tu ci provi ad affrontare la vita, e l’arrivo dell’inverno, mettendocela tutta. Sei li che programmi le ora che trascorrerai in palestra, i drink che ti concederai nel weekend, il tempo dello shopping e soprattutto le infinite ora che passerai a lavoro. Tu ci provi a non sentire i tuoi pensieri che, a quanto pare, più vengono sedati più ti rendono un qualcosa di febbricitante che oscilla da oggi non posso farcela oggi non mi sento proprio bene,alternando brevi momenti di isterica serenità.

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Succede che cerchi di programmarti le cose, prometti a te stessa che nonostante tutto da domani avrò sempre un pò di tempo da dedicare solo a me stessa. Ti prometti che tornerai a scrivere come facevi un tempo, a guardare serie Tv in streaming, a perdere sonno tardi senza sentirti uno zombie il giorno dopo.

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Succede che arrivi a sera stanca, senza alcuna voglia se non quella di mettere il pigiama ed ebetare davanti alla Tv; succede che passi il tempo a sentire se hai la febbre perché non capisci perché ti senti sempre stanca; succede che sono mesi che prometti un weekend alle tue amiche ma per quel weekend sembri non avere tempo mai. E’ il cambio di stagione. E’ la Me Invernale che si fa strada, nonostante quest’anno io stia cercando di chiuderle tutte le porte.

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Succede che un venerdì sera di quelli angoscianti come tanti, uno quelli in cui scansi la palestra come fosse maledetta ed eludi gli inviti ad andare a bere qualcosa, c’è qualcosa di stupido che riesce a farti sorridere. Nonostante tutto.

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La verità è che sei un cretino, Ma resti sempre il mio cretino preferito.
*Forse allora non mi odi per davvero*