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Addio 2019…e grazie!
Quando negli ultimi giorni dell’anno ormai concluso ti ritrovi a ripercorrere i mesi trascorsi con un velo di tenera malinconia, quasi sicuramente vuol dire che è stato un anno buono, uno di quelli da ricordare con il sorriso sulle labbra.
Difficilmente potrei affermare il contrario.
Le premesse, in realtà, c’erano tutte: ho iniziato l’anno con già in tasca i biglietti della felicità sapendo che sarei stata dall’altra parte del mondo; ancor prima di mettere piede nel nuovo anno ero consapevole che, nonostante tutto, avrei avuto i miei attimi di gioia…ma non potevo immaginare quanto questo anno avesse in serbo per me.
In fin dei conti dopo aver passato la prima notte dell’anno a vomitare anche l’anima, davvero non riuscivo ad immaginare un risvolto negativo.
Cosa? Sarebbe stato più logico pensare se questo è l’inizio figuriamoci il resto?
Ma quando mai i miei pensieri seguono una logica comune?
Come ogni anno mi ritrovo con la voglia di analizzare ogni più piccolo avvenimento e il bisogno di non perdermi in post chilometrici che non leggerà mai nessuno, forse neanche io.
Puntualmente mi ritrovo a buttare un occhio sui resoconti degli anni passati (2015, 2016, 2017, 2018) per poi scoprire, quasi con stupore, quanto sia cambiata di anno in anno per poi restare sempre la stessa.
Il dono della sintesi non è mai stata una delle mie migliori qualità, e mai come questa volta me ne sto rendendo conto. Ripenso ai 365 giorni trascorsi e mi domando:
questa volta da dove inizio?
Potrei iniziare semplicemente da me…da quella mania di fotografare me stessa e tutto ciò che mi circonda che mi permette di arrivare a fine anno ed avere almeno una mia foto per ogni mese dell’anno e scoprire che ricordo con esattezza il momento in cui è stata scattata ogni singola foto, riconosco ogni sfumatura che si cela dietro ogni sorriso e percepisco esattamente i pensieri che accompagnavano la me di quel momento.
Chiudo gli occhi e cerco di fare chiarezza, di cercare un ordine, una logica, per accompagnare voi, e me, in questo viaggio lungo 365 giorni alla scoperta di una me che a volte è stata travolta dagli eventi e a volte li ha governati.
Quante cose succedono in un anno? A volte decisamente troppe…ed è questo il motivo per cui ormai non riesco a fare a meno di questi resoconti annuali: non voglio perdermi neanche un pezzo di questo folle puzzle che è la mia vita.
Il 2019 è stato l’hanno in cui…forse ho trovato la giusta chiave di lettura di questo anno.
Il 2019 è stato l’hanno in cui…ho viaggiato!!!
E direi che ho viaggiato davvero tanto; adoro gli anni così.
Gennaio: Roma
Febbraio: —
Marzo: Roma – Madrid
Maggio: Milano
Giugno: Zurigo – Praga
Luglio: Albenga
Agosto:Los Angeles – Salento
Settembre: Cannes
Ottobre: —
Novembre: Londra
Dicembre: Dortmund – Monaco di Baviera
Il 2019 è stato l’hanno in cui…ho fatto pace con Nick Carter.
Il punto è che non abbiamo mai litigato davvero ma era esattamente dalla crociera del 2018 che vivevo con la convinzione che ormai mi odiasse profondamente (non osate litigare con la mia mente eh) ed è stato assolutamente liberatorio, per una volta, rendermi conto di essere in errore.
La sua espressione e la linguaccia che ha seguito il suo saluto sono stati il lasciapassare per un anno pieno di ricordi meravigliosi.
È stato l’anno di Hello, Kitty…Hey…ma tu alla fine di dove sei?…italianoooo…è sempre un piacere vederti…devo raccontarti una cosa troppo divertente…il mio secondo nome è italiano…
È stato l’anno in cui ogni abbraccio è stato migliore di quello precedente, in cui il suo sorriso ha dato un senso a tanti giorni bui, in cui la prospettiva di vederlo mi ha dato la forza ogni qual volta pensavo di non volercela fare più.
L’anno in cui, ancora una volta, mi ha fatto sentire speciale, il puntino che cerca tra la folla…il sorriso che rende più splendente la mia vita.
Il 2019 è stato l’hanno in cui…ho realizzato qualcosa di grande.
Abbiamo realizzato qualcosa di grande!!!
Nonostante tutti gli impegni e la stanchezza, mi sono ritrovata incastrata in un progetto che troppe volte mi era sembrato più grande di me.
Sei mesi di duro lavoro, di telefonate e scleri, di ansie e litigate, di entusiasmo e speranza…un istante fatto di pura magia.
La consapevolezza di avercela fatta!!!
Il 2019 è stato l’hanno in cui…ho capito che probabilmente finalmente ho trovato la mia strada.
Avere un titolo dinanzi al proprio nome ma sentire che non ti rappresenta può far paura, decidere che quel titolo è solo un appellativo in più rispetto a quello che hai scelto (ti hanno indirizzato) di fare, non ha prezzo!
È questo il motivo per cui, ancora oggi, quando mi chiedono quale sia il mio lavoro non riesco a non affermare: Sono un architetto, ma in realtà mi occupo di marketing e comunicazione…che nel mio caso significa occuparmi anche di logistica, amministrazione, post vendita, service…insomma se c’è un problema sono quella che se ne occupa, o quanto meno ci prova.
Il 2019 è stato l’hanno in cui…ho assistito al mio primo varo.
Quello ufficiale di un nuovo modello e mi sono emozionata. In cui ho organizzato i miei primi shooting fotografici e ho ricevuto i complimenti perché sembrava lo avessi sempre fatto e non si notava per niente che fosse la mia prima volta. In cui ho seguito il mio primo rebranding, il rifacimento di sito e brochure, i primi comunicati stampa seri.
Il 2019 è stato l’hanno in cui…ho organizzato totalmente da sola il mio primo Salone Nautico…ho seguito la realizzazione dello stand…la conferenza stampa ed il catering.
L’anno del primo concorso nautico…del primo premio vinto e dell’emozione travolgente che ne è seguita.
L’anno in cui il tempo trascorso in fiera ha avuto un sapore diverso, fatto di alcol e serate al limite dell’assurdo, di salsedine e…tante risate.
Il 2019 è stato l’hanno in cui…ho smesso di essere un robottino senza anima e ho sorriso senza un vero motivo (ok, il motivo era anche bello grosso direi). L’anno in cui sono tornata quindicenne e ho trovato chi assecondasse questa follia.
Il 2019 è stato l’hanno in cui…ho capito che basta un vestito carino ed un sorriso in più per ricordare che sei una donna a chi forse non ti ha mai visto come tale. E che a te basta anche meno per capire che non è un uomo chi pensa si illude di poterti classificare come una tra le tante.
Il 2019 è stato l’hanno in cui... sono andata ad un matrimonio a Los Angeles e c’era uno dei Backstreet Boys!
Si ok, chi se lo incula Aj…ma spiegatelo alla me 15enne che fissava sognante i poster alla parete che un giorno sarebbe finita ad un matrimonio con uno dei tizi dei poster.
Tanto non li incontrerai mai. [cit.]
Il 2019 è stato l’hanno in cui…ho capito tanto di me stessa e di chi mi sta intorno.
Ho capito che, nonostante il mio carattere, piaccio alla gente, forse proprio per il mio carattere.
Ho capito che ho dato troppa fiducia alle persone sbagliate e troppa poca a chi poi mi ha stupito; ho capito che sono amabile, anche se adoro essere odiabile; che so mettermi in gioco e che, quando lo faccio, piaccio per davvero. Ho capito che c’è un mondo intero dentro di me che per troppo tempo ho tenuto sopito ma che quando schiudo la porta esce fuori un arcobaleno ricco di colori.
Il 2019 è stato l’hanno in cui…ho smesso di aver paura dei silenzi.
Ho imparato ad ascoltare i miei pensieri senza volerli per forza addomesticare, ho imparato a provare a sentire un po’ di più quello che ho paura di provare perché a volte anche il dolore è necessario per rivedere il sole. Ho imparato a non aver bisogno di nessuno ma ad apprezzare la compagnia di chi vuole esserci davvero.
Il 2019 è stato l’hanno in cui…ho realizzato che so stare da sola, ma quando si è in compagnia si sorride di più.
E ho imparato che non è da perdenti ammettere di provare malinconia, di avere delle mancanze…e a volte mi manca avere qualcuno accanto, quel qualcuno che ti fissa solo perché mi piaci…qualcuno che non voglio che tu abbia problemi…qualcuno con cui abbattere ogni difesa.
Il 2019 è stato l’hanno in cui…ho realizzato che non tutti possono comprendere cosa stai passando e fargliene una colpa è sbagliato, ma nessuno ha scritto da alcuna parte che bisogna accontentarsi delle amicizie a metà; che chi non ti ascolta non ti merita, chi non capisce i tuoi silenzi non merita le tue parole, chi pretende la tua presenza ma non ti concede la sua probabilmente merita la tua assenza.
Il 2019 è stato l’hanno in cui…senza accorgermene, mi sono amata un poco in più!
In cui ho amato un poco in più.
E dal 2020 cosa vorrei?
Non chiedo nulla, come sempre: sorprendimi!!!
Dimostrami che sono brava a sbagliare.
Ricordami che posso amare.
Insegnami che non devo smettere di sognare.
A casa proprio non mi piace stare!
Sono sull’aereo di ritorno casa mentre, senza lasciarmi sconfiggere dalla stanchezza, butto giù l’ennesimo pezzo post-viaggio. Non ho più la valigia fuxia a farmi compagnia (chi mi legge da un po’ sa di cosa parlo) e un po’ me ne dispiaccio, ma il trolley sempre pronto non manca mai.
È stato uno di quei viaggi da quasi quasi prenoto anche io e mi unisco a voi; uno di quelli nati quasi per caso e prenotati in una notte d’estate poco prima delle vacanze estive. Uno di quei viaggi in cui ho dovuto pensa solo a cosa mettere in valigia insomma. È che Londra è sempre una buona idea, potevo davvero rinunciarci?
E così mi ritrovo qui, dopo un weekend londinese caratterizzato da freddo, pioggia, cibo, tanto cibo, risate e tante foto Instagrammabili.
Perché basta davvero poco per staccare la spina dalla vita di sempre, almeno per un po’, e ricordarsi che il mondo è un posto così bello e grande che restare fermi ed immobili è lo spreco più grande che si possa fare nella propria vita.
E poi ci sono troppi posti da fotografare…come si fa a non pensare già a quando ripartire?
Il trauma del primo giorno di palestra




Tralasciando il fatto di essermi sentita già più agile e attiva solo attraversando la porta in vetri dell’entrata, quest’anno ho deciso di sfidare ulteriormente me stessa costringendomi ad abbinare ai corsi, a cui ormai mi ero abituata, una roba odiosa e malefica come la sala attrezzi.

Potrebbe essere una nuova mia tradizione quella di avere un impatto terribile con la palestra, una prima sessione di allenamento che mi fa pensare in quanti modi avrei potuto investire i soldi sprecati in quell’abbonamento che già odio con tutto il cuore. Lo scorso anno è stato il corso di Cycling a traumatizzarmi, quest’anno la sala attrezzi.



Ciao, sono nuova e non ho idea di cosa fare.
Giuro che avevo elaborato una presentazione meno sfigata, ma non sono brava a seguire i copioni. La ragazza bassina con una lunga coda bionda e delle orribili sopracciglia nere mi ha sorriso tendendomi la mano, peccato che fossi troppo distratta dalle sue sopracciglia mostruose per prestare attenzione al suo nome.




Ci ho messo un poco per capire che probabilmente sarebbe stato nuovamente il cellulare a rispondere alla mia domanda.
Ottimo: 3 serie da 12 e 45 secondi di pausa. Ma devo davvero conteggiare i 45 secondi?
Ho deciso che il tempo è relativo e ho stabilito che 4 sospiri erano il tempo giusto di riposo.



Più le tiri su, più fa bene.
Sicuramente, ma se mi lacero i muscoli nel mentre magari non è proprio una buona soluzione.
Ok, ripetilo ancora una volta. Ed è sparito.

Mi raccomando: vai al desk e prendi appuntamento con un trainer per farti fare la tua scheda personalizzata.
Ho sorriso fingendomi desiderosa di tornare a torturare la mia autostima in quella sala, avevo già indietreggiato di qualche passo pronta a scappare quando con un sorriso che andava da orecchio ad orecchio mi ha dato il cinque. Odio queste cose da giovani.



Ce la farà la nostra eroina???
Io non mi rassegno all’autunno!!!
Il fatto che il termostato sfiori ancora i 30 gradi non mi aiuta di certo in questo mesto processo di rassegnazione ed accettazione della fine dell’estate.
Il fatto che alle 19:30 il sole sia già un triste ricordo però aumenta il mio senso di tristezza e la pesantezza che sento affliggere il mio cuore al solo pensiero che da qui a breve il buio accompagnerà fin troppe mie attività.
Io non lo accetto l’autunno!?!
Di pistacchi ed unicorni
Anche questo lunedì è giunto ormai al termine. E meno male, direi. Un lunedì lento, a tratti noioso, tanto per cambiare tendenzialmente isterico.
È da stamane che mi interrogo su due questioni importantissime che ovviamente, prima di abbandonarmi alle braccia di Morfeo, sento il bisogno di condividere con voi. Lo so, ne avete anche voi bisogno per andare a letto sereni.
Se è vero che i sogni rivelano spesso segni o significati nascosti, secondo voi cosa vorrà mai comunicarmi il mio subconscio facendomi sognare unicorni che saltano delle staccionate?
Perché la gente mangia roba al pistacchio? Gelato al pistacchio. Dolci al pistacchio. Creme al pistacchio. Pizza al pistacchio. Cioè io mangio i pistacchi, sia chiaro, ma presa da un’insana curiosità per questa ossessione dilagante verso il pistacchio ho deciso di provare il gelato. Ma perché? È davvero un gusto estremamente stupido!!!
In conclusione, un post inutile per chiedevi:
– perché sogno unicorni?
– perché mangiate il gelato a pistacchio?
Buona notte 💕
Tutti amano giocare con le bamboline.
Era sempre stata diversa, sin da quando era poco più che una bambina; piccolina e delicata, aveva sempre amato osservare il mondo immaginando di vivere nel regno incantato che aveva creato nella sua testa. Non correva, non urlava, non poggiava i gomiti sul tavolo quando era ora di cena. Passava il tempo a leggere storie e reinventarle a modo suo, fissava il vuoto e si perdeva nell’intricato labirinto che pian piano stava prendendo forma nella sua mente.
Non le era mai importato di essere uguale alle altre, aveva imparato ad essere diversa dal primo momento in cui l’avevano etichettata come tale, soffrendo in silenzio ogni volta che qualcuno l’allontanava cercando di sminuire il suo valore.
Aveva lasciato che il mondo le insegnasse che essere diversa non è poi così lontano dall’essere speciale.
Nascondeva i suoi pensieri ribelli dietro a stupidi capricci, dietro quei modi da principessina fuori dal tempo; mascherava le sue insicurezze dietro una sciocca ingenuità, dietro quella ricerca della perfezione che pian piano l’aveva chiusa in una casa di bambola.
Era diversa dalle altre.
La smania di essere desiderata da un ragazzo non l’aveva sfiorata fino a quando era stata travolta dalla prima cotta, quella che l’aveva confusa facendola sentire di colpo fragile e non così diversa: voleva qualcosa che non sapeva come avere. Non era abituata ad una sensazione del genere, non voleva cedere a quei meccanismi ridicoli in cui aveva visto pian piano inciampare tutte le sue amiche. Eppure, dopo tutte le attenzioni che proprio quel ragazzo le aveva dedicato nel tempo, non riusciva ad accettare la delusione di non aver imparato come essere la sua prima scelta, di non essere stata abbastanza bella, gentile, simpatica o femminile.
Non riusciva ad accettare semplicemente di non essere stata abbastanza.
Le bamboline sono aggraziate e delicate, niente delusione sul loro volto.
Non saprei dire se avesse imposto a se stessa di essere forte o se, semplicemente, avesse indossato l’ennesima maschera. Nessuna lacrima sul suo viso, un triste sorriso e un atto di gentilezza.
Le bamboline sono tenere e vanno sempre difese.
Non aveva bisogno di essere difesa da nessuno, ma aveva iniziato ad amare i cavalieri, seppur privi di cavallo bianco, che avevano iniziato ad attorniarla, a cullarsi di quelle attenzioni e di quei gesti che, giorno dopo giorno, la rinchiudevano in quella gabbia dorata in cui non aveva avuto la percezione di entrare. Era intoccabile. Nessuno avrebbe potuto farle del male, non lo avrebbero permesso. L’avrebbero difesa a tutti i costi.
Ma chi avrebbe difeso lei da loro?
Le bamboline sono dolci e vanno coccolate.
Tutti quei gesti che lei vedeva come tenere attenzioni, altro non erano che vani tentativi di creare una connessione con lei, reti dorate gettate nella speranza che la favola che lei credeva di vivere avesse un finale tutt’altro che lieto. Avvoltoi pronti a cibarsi del suo povero cuore quando quello che lei credeva essere il suo per sempre avesse lasciata in una valle di lacrime.
Le bamboline piangono, ma nessuno osserva davvero le loro lacrime.
Distrutta nella sua essenza più profonda, non era poi così diversa dalle altre eppure non riusciva a dimenticare come fosse sentirsi speciale. Nessuno le avrebbe più spezzato il cuore, lo aveva promesso a se stessa quando tra le lacrime aveva visto il suo volto allo specchio e non lo aveva più riconosciuto.
Nessuno l’avrebbe più resa fragile e vulnerabile.
Aveva il viso di una bambolina, le movenze di una principessina, l’essenza di una strega.
Era inesorabilmente cambiato qualcosa dentro di lei, ma non avrebbe saputo spiegare cosa fosse; nel momento stesso in cui aveva smesso di essere triste per quello che non poteva avere, aveva iniziato ad avere tutto. Peccato che non le importasse più.
La sua prima cotta era tornata a bussare alla sua porta, cercava la sua bambolina, voleva la sua principessina. Aveva avuto paura della donna che aveva trovato…e non era stato l’unico.
Per anni aveva camminato in bilico su quella linea sottile tra il senso di onnipotenza nel riuscire avere tutto ciò che si desidera senza dovergli correre dietro e la delusione dell’inconcludenza in cui costantemente finiva per inciampare.
Non ci fosse uomo che desiderasse che non finisse per volerla, almeno per un po’.
Perché tutti vogliono una bambolina, per giocarci un pochino e poi riporla al proprio posto.
Anche tu.
Mi salvi chi può.
Come fate a capire cosa scrivere quando avete la testa piena zeppa di cose che vogliono trovare posto sul foglio vuoto dinanzi a voi?
Sembra quasi che solo adesso che, finalmente, dopo un’eternità io abbia trovato voglia e tempo di sedermi di fronte a questo spazio bianco i pensieri nella mia testa abbiano deciso di mettersi a ballare una rumba rendendomi complicato il tentativo di metterli in ordine.
Avrei così tanto da raccontare…ma non so da dove iniziare. Oh, sai che novità.
La verità è che è un mese che succedono cose per cui mi ritrovo a pensare questa cosa qui devo assolutamente raccontarla sul blog e poi semplicemente di sera arrivo così stanca e infastidita dal rumore dei tasti sulla tastiera del mio pc che aggiornare il blog diviene l’ultimo dei miei pensieri. Arrivo così stanca che non riesco neanche più a trovare forza e voglia di andare in palestra (regaliamoli i soldi di questo abbonamento eh), così stanca che non riesco più a seguire decentemente una serie televisiva (ci credereste se vi dicessi che prima ne seguissi almeno 15 diverse a settimana?), così stanca che troppo spesso le parole di chi mi circonda non trovano spazio nella mia testa.
Il punto è che da quando ho cambiato mansione a lavoro sono decisamente più stanca, più esaurita (io ancora mi domando perché le barche non si spostino da sole eh), più ansiosa rispetto alle cose da fare il giorno dopo, più maniaca del controllo con i miei post-it, i miei evidenziatori, la mia agenda e i miei mille quaderni, spesso più confusa (devo decisamente migliorare il mio switch italiano/inglese)…eppure sono decisamente più soddisfatta.
Ed è strano sapete? Perché, per quanto io sia consapevole di aver studiato per essere un architetto da grande, nell’ultimo mese credo di aver assunto le mansioni più svariate: sono stata un pò avvocato, un pò facchino, un pò agente di viaggi, un pò assicuratore, un pò segretaria, un pò ragazza del caffè, un pò la nuova tizia dell’ufficio marketing e comunicazione, un pò social media manager, un pò controllore, un pò l’assistente del capo, un pò trasportatrice di brochure e cassette degli attrezzi vari…si ok, a tratti brevi, sono stata anche un poco architetto.
Lo sto facendo di nuovo, anche qui: quando smetto di lavorare…parlo di lavoro.
AIUTATEMI!!!
Mi rendo conto che dopo tutto questo delirio vi sarà complicato credere che ho delle distrazioni inquietante questo periodo, che avrei mille e trecento cose a cui pensare quando finalmente lascio l’ufficio/il cantiere/la barca/l’ennesimo posto in cui sono dovuta andare.
Ma se vi dicessi che le distrazioni attualmente mi mettono più ansia cosa mi rispondereste?
Questo post è un delirio ma è il frutto della consapevolezza che i prossimi 19 giorni saranno un’unica ed infinita corsa, perché mi sono resa conto solo oggi che mancano appena 19 giorni e ho ancora fin troppe cose per pensare anche solo lontanamente di essere pronta ad affrontare tutto questo.
Mi salvi chi può!
Ciao, sono l’Ansia.
Ci sono momenti in cui le parole non le cerchi, sono loro che trovano te. E’ esattamente questo che è accaduto con quelle di Carla Babudri che ho deciso di riportare in questo mi spazio.
“Ciao sono l’Ansia, non spaventarti… vengo in pace, perché ti spaventi così tanto davanti alla mia presenza?
So che ti senti male ogni volta che mi avvicino, che ti disperi e vorresti mandarmi via subito, so che se potessi… mi uccideresti, soprattutto perché credi che sia io quella che ti vuole fare del male, ma credimi, non è così.
Non sono qui per arrecarti dolore, tanto meno per farti impazzire, penso di avertelo dimostrato ogni volta che arrivo. E’ vero delle volte sono spaventosa ma è la mia natura.
Però come vedi alla fine della giornata, non ti ho ucciso e non sei impazzito.
La verità è che quando arrivo tu stai male, senti questa sensazione dolorosa nel petto.
Purtroppo non ho altro modo per farmi ascoltare.
Sei così impegnato a cercare successo, ad essere produttivo a dimostrare agli altri che sei degno di essere amato… e non ascolti i miei piccoli segnali.
Ricordi quella volta che hai sofferto di mal di testa?
O quando hai avuto l’insonnia per più di 2 ore e ti giravi nel letto?
O che ne dici di quella volta che senza un motivo apparente hai pianto?
O ancora, di quella volta che ti sei sentito oppresso dentro e ti mancava l’aria e non capivi il perché?
Beh, tutte quelle volte ero io, volevo solo che tu mi ascoltassi, ma non l’hai fatto.
Hai continuato a seguire il tuo ritmo frenetico di vita.
Allora ho provato qualcosa di più forte, ho provato a farti tremare l’occhio, fischiare l’orecchio, sudare le mani, ma anche in queste occasioni non mi hai voluto ascoltare.
Conosci bene la mia presenza, è per questo che quando sei tranquillo o sei da solo e in solitudine… o ti fermi, mi presento, semplicemente per parlarti.
Ti disperi sempre, perché con la mente non comprendi cosa ti succede, e ovviamente, con la mente razionale non mi comprenderai.
Ecco perché mi sono arresa e ho deciso di scriverti.
E mi congratulo con te se stai leggendo ciò che ho da dirti, perché significa che hai finalmente il coraggio di ascoltarmi, e credimi, nessuno meglio di me sa della tua grande capacità di evitarmi e scappare via, come scappare dal mostro nella foresta oscura.
Come quelle volte in cui mi eviti e ti distrai per ore davanti alla tv, vivendo la vita di altre persone che non conosci pur di non affrontare ciò che non ti piace.
O che ne dici di quelle volte che con un paio di pillole hai intorpidito i tuoi nervi e le tue preoccupazione; e cosa dire di quelle altre sostanze che ti inducono lo stordimento annebbiando ogni tipo di sentimento.
Spero che ora tu sia pronto.
Pronto ad affrontare la tua realtà, pronto ad affrontare la verità nella tua vita senza maschere, senza scorciatoie… senza pretese.
E’ così che deve essere.
L’ unica cosa che ho cercando di comunicarti per tutto questo tempo: che è ora di evolversi andare avanti.
Devi attuare cambiamenti molto profondi dentro di te, perché non ti stai godendo della vita e non ti senti appagato.
Per questo motivo che sono qui, per aiutarti a recuperare quella pienezza che vive dentro di te; per riuscirci dovrai liberarti da tutto ciò che ti ostacola.
Sono qui per aiutarti a capire cosa esattamente impedisce alla tua vita, alla tua passione di vivere la gioia.
Ogni volta che entro nella tua vita, ti ricordo che non è piena e felice, quindi se dovessi tornare, non spaventarti, ma ascoltami.
E se davvero mi ascolterai non ci metterai molto ad apportare i cambiamenti, li farai subito.
Se vuoi sentirti bene, tutto dipende solo da te.
So che lo desideri, ma allo stesso tempo so che vuoi rimanere nel tua zona comfort, nella comodità, pur di evitare ciò che ti fa male.
Preferisci continuare a cercare l’approvazione e l’accettazione degli altri, facendo l’impossibile per attirare attenzione; preferisci che gli altri siano responsabili della tua persona, meno che tu di te stesso… e naturalmente ti capisco, tutti desideriamo fuggire dalle responsabilità.
Ma ho una notizia per te!
Solo entrando nel problema potrai avvicinarti a quell’esperienza di liberazione.
Tu sia responsabile di te stesso e quando mi ascolterai, credimi, me ne andrò.
Solo tu hai il dono di mandare via queste sensazioni spiacevoli.
C’è qualcosa di molto importante che voglio dirti, in realtà me ne andrò non appena intravedrò che stai facendo cambiamenti nella tua vita, quando vedrò che stai andando verso la tua evoluzione, pronto a crescere e a riprendere in mano la tua essenza.
Finché non lo farai, io ci sarò, sempre.
In conclusione, se oggi sono qui, perché hai bisogno di me.
Hai bisogno di me, per modificare il tuo modo di interpretare la tua realtà, lascia che ti dica che è un po’ ‘distorta’.
Devi liberarti di credenze che non ti aiutano e ti limitano; perdonare tutta la rabbia e riprenderti la tua libertà interiore.
Soprattutto, hai bisogno di me per riconquistare il piacere di vivere, per essere te stesso, perdere la paura di rifiuto o di abbandono.
Hai bisogno di me per mettere dei limiti alle persone che ti fanno del male, affinché tu possa impugnare coraggio e imparare a dire “no”.
Hai bisogno di me per allontanare chi non ti merita; per smettere di dipendere dall’esistenza del tuo partner per essere felice.
Una volta per tutte, bada alle sensazioni del tuo corpo.
In che altro modo avresti fatto attenzione al tuo corpo?
Probabilmente in molti altri modi, ma questa sta funzionando.
Dai al tuo corpo il cibo di cui hai bisogno, smetti di criticare il tuo fisico e ringraziarlo, per te fa tanto.
Corri, muoverti, passeggia riprendi i tuoi ritmi.
Perché esplodere sempre?
Perché la tristezza?
Perché pretendere così tanto?
Non capisco perché lo fai, hai tutto, sei tutto, hai le capacità di cui hai bisogno per creare la tua realtà, ma ti tratti come uno schiavo, sei troppo severo con te stesso.
Sono qui per dirti di smetterla di farlo.
Chiediti come mai non hai più equilibrio interiore.
Chiediti davvero come vuoi vivere e per cosa lottare: è la tua vita, hai solo questa!L’ unico controllo che puoi pretendere è quello di te stesso, ma per conquistarlo, devi accettare che l’hai perso, e lasciare che finalmente mi esprima, dirti che quei sintomi così orribili che ho inventato era per sostenere tutto questo e se ancora non mi accetterai, sarò ancora più forte.
Quindi, la prossima volta che mi sentirai arrivare, chiudi gli occhi, spegni la mente razionale per un momento, lasciati andare… respira e cerca di comprendermi.
Poi inizia il cambiamento nella tua vita con azioni chiare e specifiche, vedrai che me ne andrò.
Spero di non dover entrare molte volte nella tua vita, ma se ritorno… ricordati che non voglio farti del male, voglio aiutarti a recuperare la tua strada, quella che ti renderà felice.
E per finire, spero che tu possa vedermi come sono: la Tua Essenza.
Sono te stesso che urlo disperatamente e imploro di ascoltarmi, ti parlo dal profondo del tuo cuore, che scoraggiato cerca di farsi notare.
Quello che senti non è ‘tachicardia’, sono io, la tua Essenza, che vuole semplicemente venir fuori e vivere.
Con affetto,
la tua Essenza mascherata da Ansia.”
Carla Babudri
Non avrei saputo dirlo meglio. Grazie.
Si dovrebbe tornare senza voce da un concerto, non senza vita!
Non sono solita mettere nero su bianco i miei pensieri quando accadono cose del genere, quando per l’ennesima volta ci ritroviamo inermi di fronte alla conta dei morti, delle vittime di una guerra che si combatte con armi impari, che colpisce il cuore delle nostre emozioni e lo distrugge in pochi istanti di delirio e follia, eppure questa volta c’è qualcosa che mi ribolle dentro, qualcosa che mi costringe ad esprimermi a riguardo, qualcosa che mi impedisce di tacere.
L‘ennesimo attentato quello accaduto ieri notte a Manchester; a far paura in una frase del genere, per quanto mi riguarda non più la parola attentato, ma quell’ennesimo che ormai sempre con più naturalezza accompagna tale parola, come se abituarsi a tali notizie riuscisse a renderle meno terrificanti. Non è così, neanche un poco.
Quante volte sono stata ad un concerto? Quante volte ho salutato i miei genitori in preda all’euforia più totale? Quante volte mi hanno visto varcare la soglia di casa per recarmi chissà dove all’insegna dell’ennesimo concerto, l’ennesimo viaggio tra amiche e musica che avevo tanto bramato, pianificato e/o atteso? Quante volte schiacciata da folla urlante mi sono lasciata travolgere dalle emozioni che, pervadendo la mia anima, mi regalavano un’assurda sensazione di invincibilità. Perché è così che ci si sente quando si è felici, quando la musica pervade l’essenza più profonda della propria anima, quando si accendono le luci su un palco non più vuoto e la sagoma del proprio cantante preferito smette di essere sfocata, quando la realtà supera la fantasia…quando sembra che tutto possa accadere.
#SoloCoseBelle
E’ uno degli hashtag che normalmente accompagna le mie foto di concerto perché, quando esci di casa stringendo in mano quel pezzo di carta che ti consentirà l’accesso alla felicità, sono solo le cose belle quelle che riempiono la tua testa, le uniche che dovrebbero colmare quelle giornate, le uniche che dovrebbero condizionare il tuo umore, le uniche che vorrai ricordare. Le uniche che dovresti aver vissuto.
Un velo di lacrime ricopre i miei occhi nel leggere le notizie che, istante dopo istante, forniscono più dettagli a questa notte dell’orrore: 22 morti certe, oltre 50 feriti, decine di dispersi. Ragazzine, bambine, la cui unica colpa è stata quella di voler vivere in un sogno per una serata. Immagino la gioia nei loro occhi allo spegnersi delle luci, le emozioni da batticuore canzone dopo canzone, la sensazione di trovarsi in una realtà parallela. Provo ad immaginare il terrore che ha attraversato i loro corpi al suono dell’esplosione, il panico che ha paralizzato le loro gambe, le urla che le hanno lasciate senza voce, la paura di non riuscire a tornare a casa, di non riuscire a riabbracciare la propria madre, di non riuscire ad uscire vive da quell’incubo. Non ci riesco, fa troppo male.
Avevo 14 anni quando sono stata al mio primo concerto, mio padre non aveva voluto entrassi da sola perché non era pronto a vedere la sua bambina fare cose da grandi o, semplicemente, perché un genitore sa che nessun posto è davvero al sicuro per la sua bambina eppure la sua felicità vale quel rischio. Sempre. Ora più che mai.
Ci ho pensato tutto il giorno, un tragedia sembra essere più dolorosa quando in qualche modo ti colpisce da vicino; non è questione di morti di serie A o di serie B, non è il volersi mettere addosso una bandiera per omologarsi al dolore mediatico che ci viene riversato addosso, si tratta semplicemente di riuscire a rivedere se stessi tra quella folla e sentirsi mancare l’aria per la paura. E’ immaginare di andare al prossimo concerto con la triste consapevolezza che quell’isola felice non è più un posto sicuro; è avere la consapevolezza che ad ogni attentato si perde un pochino in più.
Ho paura, ma non sarà la paura a fermarmi.