Pensieri Random di una 15enne · Pensieri Sparsi

ᴅᴇᴠᴀsᴛᴀɴᴛᴇ


Che la vita fosse imprevedibile quest’anno avrei dovuto impararlo in diversi modi. Eppure anche questa volta mi sono scoperta impreparata al flusso di emozioni che mi hanno travolto.
Ci sono viaggi che semplicemente nascono storti; le quasi 9 ore di ritardo dell’aereo alla partenza avrebbero dovuto essere un buon segno. Beh anche la fenomena che, incapace di affrontare una discussione, ha tirato fuori dallo zaino il distintivo pensando che cambiassi i miei toni al suono della parola carabiniere come segno non era niente male a pensarci bene.

Storta va, diritta viene!

Ho iniziato a ripeterlo come un mantra per placare la mia ansia crescente e staccarmi quella sensazione negativa che mi si era appiccicata addosso da qualche giorno. L’ho ripetuto mentre imprecavo in duplice lingua contro Booking perché mi avevano annullato la prenotazione del taxi che ci avrebbe portato in albergo. L’ho ripetuto quando, nel bel mezzo di una turbolenza, l’aereo ha iniziato a sobbalzare violentemente e, per la prima volta dopo decine e decine di voli, ho dovuto chiudere gli occhi e respirare a fondo per combattere il panico che mi aveva iniziato a spezzare il respiro dal profondo della mia essenza. L’ho ripetuto anche quando, con sorriso stanco, ho notato che l’autista di Uber si stesse accertando che fosse tutto ok con l’albergo ed è andato via solo dopo essersi assicurati che il receptionist di turno alle 5 del mattino avesse aperto le porte per farci entrare. 
L’ho ripetuto così tante volte da aver costretto la mia testa a crederci fino ad ignorare la doccia fin troppo tiepida del mattino seguente.


Ho iniziato ad immergermi nell’ultima città del piccolo tour di questo autunno, inseguendo spot Instagrammabili e foliage autunnale in palette con il mio outfit. Si dice che Londra sia sempre una buona idea (o forse era Parigi?) e, nonostante la fastidiosa pioggerella che sembrava mettersi in pausa giusto il tempo di scattare qualche foto, non avrei potuto assolutamente non essere d’accordo con questa affermazione. Nonostante continuassi a lottare silenziosamente contro quella fastidiosa sensazione che sembrava non volesse proprio abbandonarmi, la giornata è trascorsa piacevolmente. 
Forse questa volta mi sbaglio: andrà tutto bene.

Ore 20:57
Una notifica di whatsapp: una foto. Uno screenshot, volendo essere precisi.
Non ci credo. Ma è vero?

Mi piacerebbe raccontare di aver avuto una reazione diversa, farebbe di me una persona migliore probabilmente. Ma sarebbe una stupida bugia mal raccontata: che la fine di Aaron Carter fosse tristemente già scritta lo sapevamo tutti, che quella fine dovesse arrivare in quel momento un pò meno. Seduta sul divano di casa mia probabilmente avrei provato d’impeto più empatia per la tragica fine di un uomo di appena 34 anni; immersa nelle luci di una città a me straniera ho provato, egoisticamente, solo tanta rabbia. Le mie sensazioni non sbagliano mai.
Il mio viaggio a Londra aveva mille e più significati per me: non rappresentava solo la fine di quel tour che mi aveva riavvicinato alla vita che il Covid mi aveva portato via, non era solo l’ultima possibilità di abbracciare il mio Ciacione prima che tornasse dalla parte opposta del mio mondo, non era solo un viaggio di famiglia, non era solo  la sorpresa che dopo 24 anni avrei voluto fare a mia madre. Era la dimostrazione che per quanto la vita ci provi a buttarti giù, c’è sempre il sole dopo la pioggia. E Aaron Carter aveva portato la tempesta.

Sul mio telefono è iniziato un susseguirsi di messaggi, di fastidiose supposizioni su come si sarebbero svolti gli eventi, di ipotesi odiose in cui tutti sapevano cosa sarebbe accaduto, quale sarebbe stata la cosa migliore, ma nessuno sapeva un cavolo. Me compresa. Tutti soffrivano per una perdita che non gli apparteneva mentre io scorrevo con gli occhi quelle parole che asetticamente mi parlavano di rimborsi. 
Quando una notizia ti colpisce in faccia come uno schiaffo a man rovescio ci metti un pò per assaporarne davvero l’essenza; razionalmente so cosa avrei dovuto provare, ma sfido chiunque a riuscire ad elaborare pensieri diversi da quelli che si sono affollati nella mia testa in quelle ore.
Tornata in albergo ci ha pensato l’assenza di acqua calda in tutto l’edificio a darmi il colpo di grazia: qualcuno me la stava palesemente tirando. E a sto giro gli stava riuscendo anche piuttosto bene. Sono andata a letto spegnendo totalmente i pensieri: non avrei potuto in alcun modo avere controllo sugli eventi del giorno dopo, ma sulla mia reazione ad essi si.

Al mio risveglio, il mattino seguente, ho controllato in maniera ossessiva la casella mail e Twitter alla ricerca di ogni piccolo indizio che mi avesse suggerito come sarebbe stata la giornata: il nulla cosmico! Frasi inutili scorrevano l’una dietro l’altra: cordoglio, illazioni, lamentele, supposizioni, selfie con frasi struggenti per attirare l’attenzione, liti inutili sulle sensazioni da provare. Il nulla più assoluto. Gente che non sapeva se lasciare casa per recarsi al palazzetto, gente che, seduta sul divano di casa propria, inveiva contro chi si stesse domandando se il concerto sarebbe stato annullato. Chiacchiere vuote ed inutili.
Il problema di fondo è sempre lo stesso: tutto si riduce alla prospettiva da cui vedi le cose, quella prospettiva che ti regala solo una piccola visione dell’intera vicenda.
Un uomo di 34 anni era morto da poche ore. Il fratello dell’uomo che da anni mi regala sorrisi era morto da poche ore e io continuavo a pensare allo stipendio speso per vedere mia madre emozionarsi come avevo fatto io mille volte; al momento di felicità che quel destino infame mi stesse negando dopo un anno che tutto era stato fuorché facile. E no, non mi sentivo egoista neanche un po ‘.

Dovrebbero annullare le ultime date del tour.

Altisonante risuonava questa frase sui social ed io avevo iniziato ad accarezzare l’idea che con tutti i soldi che mi avrebbero dovuto rimborsare alla fine di questo viaggio avrei potuto tranquillamente andare dall’altra parte del mondo per riabbracciare il mio Ciacione e concedermi tanto shopping terapeutico. Non tutti i mali vengono per nuocere se affrontati con il giusto mood e io il giusto mood avevo intenzione di ricercarlo. Ho riposto in valigia il vestito fuxia che avrebbe dovuto accompagnare il caffè del pomeriggio e ho remixato uno degli outfit jeans e maglioncino: nessun vestito dovrebbe essere sprecato quando hai la possibilità di fare belle foto. 

Ho trascorso la mattina ignorando il peso che sentivo sullo stomaco, incapace di smettere di controllare come un’ossessa se ci fossero aggiornamenti ho dissimulato una tranquillità che probabilmente mai avevo avuto in questo viaggio. Colazione, passeggiata, foto, shopping, foto e infine pranzo domenicale. Tutto sempre ricoperto da quella pioggia che, sempre più insistente, martellava nel mio cervello quasi più dell’assenza di notizie (o forse del ridicolo susseguirsi di ipotesi rincorrendo stories di un Dj a cui forse non era ben chiaro cosa si potesse o non potesse dire).
Indossare l’outfit per il Meet & Greet non è mai stato così mestamente ansiogeno: ho risistemato il trucco cercando di ricordarmi di sorridere e non rischiare di unire il broncio alle mie solite rughe di espressione. Venire bene in foto è un lavoro faticoso e il sarcasmo con cui affronto il tutto è la mia arma vincente. Il tragitto fino all’O2 Arena mi è sembrato infinito; un misto di emozioni contrastanti ha pian piano preso possesso della mia testa rendendomi impossibile anche solo lontanamente il restare lucida. La triste consapevolezza che non avrei ricevuto un suo abbraccio faceva a cazzotti con la paura di trovarmi di fronte i suoi occhi pieni di dolore: cosa avrei realmente affrontato al meglio? 
Forse solo in quel momento me ne stavo rendendo davvero conto: a quale delle due ipotesi ero meno preparata? Lo avrei scoperto di lì a poco, in realtà.

Eravamo in fila, nella speranza che il gate fosse quello giusto, quando con un’espressione mestissima è comparso Eddie:
Nick non sarà presente al Meet & Greet. Dovrebbe esserci stasera al concerto. Se volete, potete chiedere il rimborso.
Sono convinta di non avere avuto reazioni, in fin dei conti sapevo che questa sarebbe stata la cosa più ovvia (e giusta) che sarebbe potuta succedere in quel momento eppure il sorriso sul mio viso deve essersi spento di colpo. Potete chiedere il rimborso. Vorrei poter ammettere di non aver neanche lontanamente accarezzato l’idea; mentirei consapevole di mentire. Quante volte ho ironizzato sul fatto che se non ci fosse stato il Ciacione non avrebbe avuto alcun senso  un evento e avrei preteso il rimborso? Sarebbe stato un mio sacrosanto diritto. Questa volta però non si parlava solo di me! Fino a qualche istante prima con mia madre stavamo facendo la prova del sorriso, immaginando come avrebbero reagito le sue amiche nel vedere la sua foto con i Backstreet Boys e, nonostante lei continuasse a ripetere di accettare la restituzione dei soldi, non avrei mai potuto sottrarle questa esperienza. Non avrei potuto privarla di questa emozione. 

Ho incontrato i 4 tizi che cantano con Nick Carter. Ehm ho incontrato i Backstreet Boys.
Ed è stato stranissimo!!!
La sequenza in cui era disposti era sempre la stessa. O quasi.
Varcato il pannello di separazione, i miei occhi non hanno trovato subito il Sole ed il suo sorriso ad accogliermi. 
Il primo al mio cospetto è stato Howie. Questa volta l’ho guardato davvero e, forse per la prima volta, non mi ha fatto tanto simpatia il suo atteggiamento quasi distaccato. Alex mi ha abbracciato con delicata gentilezza e, davvero, per la prima volta mi sono concentrata sulla carineria dei suoi gesti. Poi un colpo al cuore, quel vuoto così grande da togliere il fiato. La percezione che quel momento non avrebbe mai avuto lo stesso magico sapore. È stata frazione di secondo, quella che serve per cambiare una consolidata routine e farmi ritrovare di fronte a Kevin con il suo solito abbraccio stritolante. E infine un raggio di luna: Brian. Ma è sempre stato così bello? Mi ha abbracciato forte (e con quei braccioni è davvero tutto un dire) e mi ha sorriso; ha preso in mano le redini della questione trascinandomi al centro per avere una foto ben centrata. Ho percepito la tenerezza nei suoi gesti e questo mi ha confuso parecchio.  Perché non avevo mai notato tutti questi dettagli? Sono stati l’amore, dovrei essere fulminata se solo pensassi il contrario eppure non è stata la stessa cosa. Mancava lui: la sua assenza era la maggior presenza che potessi percepire. 
Solo chi sa di cosa io stia parlando può comprendere il mio delirio e capire la malinconia di una giornata grigia senza Sole.

Poi è entrata la mia mamma e tutto ha cambiato colore.
La hanno accolta come si fa con una persona a cui tieni tantissimo, circondandola di attenzioni e gentilezza; continuavano a chiamarla mamma e a ringraziarla per l’aver condiviso quel momento con me, rendendo quegli istanti un ricordo speciale che conserverà per sempre nel suo cuore. Non l’ho mai vista sorridere ed emozionarsi in quel modo. Ha percepito un poco di quell’amore che mi porto sempre via ogni qualvolta che li vedo, ha capito i miei piccoli istanti di felicità, ha capito che i sogni si realizzano e la vita può essere piena di piccoli istanti di magia.
Sono troppo belli. Quando sei li, non vuoi più andare via. Quando possiamo vederli di nuovo?
Non era stato proprio come lo avessi immaginato, eppure era stato bellissimo. Un’emozione che difficilmente trova voce in delle semplici parole. La magia aveva avuto effetto anche su di lei, seppure senza Sole.

Un unico interrogativo ha turbato le successive ore fatte di un giro al centro commerciale, una pizza che poi non era così da schifo, messaggi vocali alle amiche di sempre per condividere le emozioni e chiacchiere con sconosciute in fila per il bagno:
Lui ci sarebbe stato su quel palco? 
La risposta è arrivata poco dopo quando, con il cuore che batteva sempre più forte man mano che le stesse immagini ormai imparate a memoria scorrevano sul maxischermo, sono comparsi sul palco: tutti e cinque. L’arena è esplosa. Mai come in quella frazione di secondo ho sentito le urla raggiungere una potenza del genere: era un abbraccio rumoroso, un chiassoso ringraziamento verso chi, nonostante il dolore, aveva scelto di essere sul quel palco e metterci anima e corpo. Questo lo avremmo visto solo poco dopo, ma la sua presenza era bastata per innescare una bomba di energia a cui mai avevo assistito prima di quella serata.

Era il mio nono concerto di questo tour iniziato nel 2019: Milano, Zurigo. Praga, Los Angeles, Anaheim, Amsterdam, Bologna, Cracovia e infine Londra. Ogni tappa ha lasciato un ricordo particolare dentro di me, ma mai nella vita potrò dimenticare le emozioni devastanti provate quella sera del 6 Novembre
La piccola crepa che la sua presenza sul palco ha creato nella mia essenza è diventata uno squarcio nota dopo nota, canzone dopo canzone; i miei occhi si sono riempiti di lacrime che non sono riuscita a controllare per tutta la durata dello spettacolo. Ancora oggi, scrivendo questo resoconto, sento quella sensazione di pugno allo stomaco che mi ha colpito con violenza quella sera: nell’aria c’era rabbia e dolore, amore e compassione, cordoglio e gioia di vivere. Il tutto e il niente. Essere con mia madre, percepire l’importanza della famiglia, ha moltiplicato quelle emozioni che da tempo avevo iniziato a temere di aver perso per sempre. Quando per l’emozione gli si è strozzata la voce ho sentito un pezzo del mio cuore frantumarsi in mille frammenti che si sono conficcati violentemente nella mia anima. Il suo dolore era il mio, la sua sofferenza era la mia, la sua rabbia la percepivo fino al centro del mio midollo. La forza delle emozioni che mi hanno travolto come una valanga mi ha devastata.

Potrei spendere migliaia di parole per spiegare come si possa condividere il dolore di un perfetto sconosciuto al punto tale di percepire un concerto quasi come se fosse un funerale, ma sarebbero parole sprecate. Solo chi sa davvero di cosa io stia parlando può capire questo amore profondo ed innaturale che mi porto dentro da praticamente tutta la vita; un amore che confonde la mia essenza e manda a puttane la mia razionalità. Sono passati dieci giorni e ancora sto elaborando le emozioni di quella sera.

You think you know, but you have no idea.

Pensieri Sparsi

West Cost Days ✨ #Day9 💸


Sai che una città ti ha rubato il cuore quando, non appena metti piedi all’aeroporto per lasciarla, senti uno strano malessere che ti brucia dentro, una malinconica nostalgia che ti avvolge come una coperta fatta di ricordi al pensiero di abbandonare quei luoghi che hai sentito tuoi, almeno per un po’.

La giornata di oggi è stata un lento tessere quella malinconia coperta: l’ultima colazione in quello diventato in poco tempo il solito Starbucks, l’ultimo pranzo, l’ultima passeggiata, l’ultimo tram, l’ultimo giro al centro commerciale per quegli ultimi acquisti che mi hanno costretto a tirare fuori il borsone della valigia già piena e pronta a scoppiare.

Un rapido giro al Museo dei Cable Car è stato il saluto a questa città di cui mi sono innamorata, nonostante abbia sviluppato dei polpacci da calciatore per il ripido sali-scendi delle sue strade e soprattutto per il tempo con cui ci ha accolto.

Non avevamo un caldo del genere da almeno 180 anni!” Le parole dell’autista italiano che ci ha portato all’aeroporto la dicono lunga sulla botta di fortuna avuta da me che il freddo lo odio sempre un poco in più.

Giorno 9. Siamo al giro di boa di questo viaggio che vorrei non finisse mai!

Pensieri Sparsi

West Cost Days ✨ #day7 & #day8 🇺🇸


A San Francisco farà freddo, devo mettere il piumino 100 gr insieme al costume in valigia o rischio di morire di freddo!?!

Tra le previsioni del tempo e i racconti dei viaggiatori in real time nella Fog City, ero pronta a malincuore a sopportare vento gelido e temperature al di sotto dei 20 gradi; lo so, già vi avevo accennato a questa cosa nell’ultimo post, ma i 38 gradi di ieri mi hanno scombussolato non poco, soprattutto a causa dei jeans che hanno fatto evaporare tutta l’acqua che avevo in corpo.

Ieri sera ero decisamente cotta per riuscire ad aggiornare questo spazio, il sole cocente misto alla stanchezza e allo snervo per aver perso il mio adorato porta cellulare di Victoria’s Secret comprato lo scorso anno a Boston mi hanno fatto indossare la mia fantastica mascherina e salutare il mondo non appena ho varcato la soglia della camera di albergo. La giornata è stata decisamente intensa.

La mattinata è stata totalmente dedicata alla visita della Prigione Federale di Alcatraz; inquietante ed intensa, ho decisamente adorato questa esperienza.

La visita del penitenziario era accompagnata da un audioguida che attraverso l’alternarsi delle voci dei prigionieri e delle guardie, dei loro racconti, dei suoni e dei rumori tipici della prigione ti risucchiava in una realtà parallela in cui tutto era in bianco e nero. O almeno questa è la sensazione che ho provato io.

I colori hanno iniziato a vibrare non appena ho varcato la soglia del Pier 39, dove dopo un tipico pranzo americano tra surfisti sono rimasta incantata a contemplare dai leoni marini spiaggiati sulle piattaforme del molo. Giuro che non mi sarei più allontanata da quel posticino sul molo, il suono forte dei versi di questi animali in realtà non ha in alcun modo urtato il mio labile sistema nervoso; mi sono imbambolata ad osservare la pacatezza con cui alcuni esemplari dormivano beatamente e l’irrequietudine di quello che lottavano per buttarsi giù dalla piattaforma. Li amo, motivo per cui oggi ho voluto tornare di nuovo a guardarli un altro pochino.

Ho lasciato a malincuore il molo, per fare un giro nella Chinatown piena di negozietti, locali per il the e sculture più o meno inquietanti.

La giornata di stamane è iniziata in maniera più soft, o quanto meno l’idea iniziale era quella prima di decidere di raggiungere a piedi Lombard Street, avete idea di quanto ripide possano essere le strade di San Francisco? Fighissime da fotografare, da percorrere con appena un caffè doppio e un cookie al burro d’arachidi in corpo è tutta un’altra storia.

Bisognava assolutamente recuperare le forze spese dopo tutta questa fatica, motivo per cui,tornati al Pier 39 ci siamo sacrificati per un sano tour culinario tra granchi e seafood cioppini.

La giornata delle tipiche cose di San Francisco non poteva continuare che con una corsa sul Cable Car, una discreta fila per salirci partendo dal capolinea verso l’Embracadero ma il giro ne è valsa la pena soprattutto essendo riuscita a posizionarmi esattamente dove volevo.

Il miglior modo per concludere la giornata? Davvero ci state ancora pensando?

Chi dice che i soldi non possono comprare la felicità, non sanno dove andare a fare shopping! Io non ho di questi problemi!!!

Pensieri Sparsi

West Cost Days ✨ #day6


Mai avrei immaginato, dopo essermi totalmente e perdutamente innamorata di New York, di riuscire a provare un imprinting così profondo per un’altra città; non ero mai stata a San Francisco e non avevo assolutamente idea di quanto poco tempo servisse a questa città per rubarmi il cuore. Il clima pungente con cui mi ha accolta ieri non faceva ben sperare per questa nostra conoscenza e deve averlo capito: oggi ad accogliere il mio risveglio c’era uno splendido sole e, cosa più importante, delle temperature estive che mi hanno ben presto fatto liberare della felpa con cui mi ero attrezzata per affrontare la giornata.

Nonostante quando si pensi a me l’ultimo aggettivo che verrebbe in mente a chiunque mi conosca sia legato alla mia atleticità, non ho potuto resistere all’idea di attraversare il Golden Gate Bridge in bici [le mie gambe ancora si domandano il perché di questa azzardata decisione]. Per quanto mi piacerebbe farmi figa e raccontarvi di quanto sia stato una passeggiata, i battiti accelerati rilevati dal mio Apple Watch dopo ogni salita svelerebbe la mia menzogna; la parte più complicata è stato giungere al ponte, in effetti, attraversarlo è stato piacevole [soprattutto la parte in cui tra il vento alle spalle e la strada in discesa praticamente non dovevo fare alcuno sforzo per pedalare.]

Come ben facile da immaginare, il giro si è protratto più di quanto avessi programmato costringendomi a pranzare alle 15:00 passate e a fare qualche piccola modifica alla lista di cose ancora da vedere. Prima di posare la bici, siamo passati alla House of fine arts, giusto il tempo di scattare qualche foto.

Nonostante la stanchezza, il giro è continuato nella zona hippy di San Francisco lungo Haight – Ashbury Street.

Menzione d’onore va fatta all’autista di Uber che mi ha accompagnato a fare la foto alle Painted Ladies prima di portarmi all’albergo per ricaricare le pile e iniziare un breve giro pro shopping.

Anche questa giornata è volta al termine e per me, e le mie gambine doloranti, è arrivato il momento di abbandonarmi ai 5 cuscini del mio lettone. A domani…se ancora vi va 💕

Pensieri Random di una 15enne · Pensieri Sparsi

❣ Anywhere for you ❣


I’d go anywhere for you, anywhere you asked me to.
I’d do anything for you, anything you want me to.

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Chiudo gli occhi e nella mia mente continuano a risuonare dolcemente le note di questa canzone che ha sempre avuto il sapore di una promessa per me; una promessa che, ormai, direi di aver onorato per davvero.

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Mi piacerebbe raccontarvi di come questa volta io abbia deciso senza esitazione di essere felice, di come in maniera impulsiva e del tutto irrazionale io abbia ignorato le mie ansie e abbia fregato la mia razionalità prenotando senza battere ciglio questo viaggio ai limiti della follia; ma volete ascoltare la mia storia o quella di qualcun altro?

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Ogni viaggio ha inizio nel momento in cui si decide di intraprenderlo, nel preciso istante in cui, arrendendosi al volere dei propri desideri, si prende coscienza dell’inevitabilità di assecondare quella decisione che in cuor nostro avevamo già preso da tempo. Nel mio caso, in realtà, pare abbia  inizio nell’esatto momento in cui tutti sembrano aver capito ancor prima di me che prenoterò quel volo, che comprerò quei biglietti…che ancora una volta volerò da lui… loro.

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Era fine settembre quando, dopo una settimana di telefonate e masturbazioni mentali, mi sono decisa ad assecondare quel desiderio che aveva iniziato a bruciarmi dentro.
The only limit is the sky…e le mie ansie che avevo deciso di raggirare con il solito meccanismo di difesa “intanto prendo i biglietti, poi decido davvero cosa fare!”. Bugiarda!?! Non avrei rinunciato per niente al mondo a questo viaggio, ma ancora non lo sapevo.

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Come se avessi avuto bisogno di una conferma per quanto appena affermato, in una notte in cui non riuscivo a prendere sonno, è arrivata una mail che sembrava urlarmi di essere felice.

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Io che non ho mai vinto il premio che volevo neanche quando da bimba pescavo i cigni al luna park, mi sono ritrovata con gli occhi lucidi dalla felicità esattamente come ad una bambina a cui hanno regalato il biglietto per la fabbrica di cioccolato: il pass per la felicità.


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Organizzare un viaggio dall’altra parte del mondo mentre si è intenti a capire che direzione stia prendendo la propria vita non è una delle cose più semplici da fare al mondo, ve lo assicuro. Chi segue questo blog da un poco ben conosce il mood che ha accompagnato i miei giorni negli ultimi mesi, tutte le ansie che mi hanno rubato il sonno di notte e bloccato il respiro di giorno, quel senso di vuoto che pian piano si stava impossessando della mia essenza più nascosta. Prenotare alberghi, studiare percorsi, ricordarsi di effettuare tutte quelle noiose cose burocratiche mentre con la colla e con lo scotch si cerca di non far andare a pezzi la propria vita e la propria sanità mentale dovrebbe essere inserito come disciplina olimpica. Eppure ce l’ho fatta.

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Ero terrorizzata.
I giorni prima della partenza credo l’unica vera sensazione che riuscissi a provare fosse terrore, di tanto in tanto l’eccitazione veniva a bussare alla mia porta ma trovava la mia testa sin troppo piena per riuscire a soggiornare al suo interno.
Le mie ansie mi ansiavano.
Avevo aspettative troppo alte per questo viaggio e la paura di restare delusa stava pian piano schiacciando tutto il mio entusiasmo; credo di essermi maledetta in aramaico un giorno si e l’altro pure man mano che si avvicinava la data della partenza; un tira e molla emotivo che si è protratto fino al momento di sistemare tutti gli outfits, che avevo meticolosamente scelto appositamente per l’occasione, nel mio trolley fuxia.

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Credo che sia stato solo quando tutto aveva trovato il giusto posto per la partenza che ho iniziato a realizzare che:

– sarei partita per la California e avrei visitato Los Angeles;

– sarei stata a Las Vegas;

– lo avrei abbracciato di nuovo;

– non c’era posto per ansie e paranoie nel mio bagaglio, bisognava lasciarle a casa.

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13 ore di aereo e varie turbolenze dopo, io e le mie amiche abbiamo messo finalmente piede sul suolo californiano…e riabbracciato le nostre valigie.
Non era la mia prima volta in America, eppure, ogni volta, ho un sussulto al cuore; ogni volta è la realizzazione di un piccolo sogno.
Tra stanchezza e intontimento da jet-lag, ha avuto davvero inizio il nostro viaggio ed io avrei dovuto capire sin dai controlli per l’immigrazione quanto questo viaggio sarebbe stato ai limiti del delirio.

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Banale e scontata, la nostra prima tappa è stata la Walk of Fame.
Non avrei mai immaginato il senso di orgoglio che ha attraversato la mia anima fissando quella stella lercia sul marciapiede della strada più famosa di Hollywood; come se un pezzettino di quell’astro rosa fosse, in un qualche modo, anche una cosa mia, mi sono ritrovata a sorridere felice mentre, contrariamente a tutte le mie ansie da germi vari ed eventuali, mi sono ritrovata con il sedere per terra a cercare la posa perfetta per immortalare il momento.

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Girare in un solo giorno una città immensa come Los Angeles equivale un pò a trotterellare per la città inseguendo le orme del Bian Coniglio di Alice rincorrendo le lancette dell’orologio nella speranza di non sprecare neanche un solo istante del tempo a propria disposizione; significa scontrarsi con la realtà di Uber e dei suoi punti di incontro confusionari che ti costringono ad attraversare venti volte lo stesso incrocio cercando di capire quale macchina sia giunta a recuperarti; significa dimenticarsi della tabella di marcia per fare un vero e proprio shooting fotografico a Beverly Hills.
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Significa girare su un pullman turistico frustrate dal vento e letteralmente bruciate dal sole; restare incantate dall’atmosfera che si respira sul Bubba Gump, fare un giro sulle montagne russe urlando all’oceano facendosi bloccare la carta prepagata, mangiare da Bubba Gump e bere una Coronarita Tropical aiutando la birra a scendere piu velocemente  per la troppa fretta mista al terrore di perdere la coincidenze per Las Vegas.

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Ritrovarsi immischiata in un viaggio del genere significa viaggiare di notte, sfruttando lo spostamento in bus per dormire almeno un pochino consapevoli di aver solo assaggiato la vera frenesia dei giorni che verranno; ritrovarsi in mezzo al nulla ad attendere l’ennesimo Uber della giornata, attraversare la Strip di Las Vegas alle 4 di mattina senza avere la benché minima percezione di che giorno sia e del perché si stia al mondo.

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Mi state accompagnando mano nella mano attraverso il mio viaggio, sbirciando nel delirio del susseguirsi di quelle ore che continuavano a rincorrersi veloci, troppo veloci, portandomi inesorabilmente al vero motivo di questa folle trasferta concedendomi, seppure in maniera fugace, di riuscire a dedicarmi allo shopping.
Perché un ricordino a casa non te lo vuoi portare?

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Riguardo le fotografie scattate in questi giorni e mi domando stupita quante ore avessero le giornate che ho vissuto ma soprattutto quanto sia stata io brava a gestire le mie ansie.
Se li incontriamo alle 5, posso andare in panico dalle 3. Giusto?
Credo sia stato per questo compromesso, e per la complicità degli oltre 40 gradi di Las Vegas, che sono riuscita a concedermi anche un tuffo in piscina prima di iniziare ad avvertire il panico incasinarmi testa e stomaco.

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Prima di continuare il racconto, che da questo punto in poi, con elevata probabilità, assumerà magicamente le sembianze di un post scritto da una quindicenne in piena crisi ormonale, è importante specificare una cosa: non importa quante volte tu abbia incontrato il tuo sogno, ogni volta sarà come la prima volta. 

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Se ci pensate solo un istante vi rendere conto voi stessi che non avrebbe senso nulla se così non fosse; se tutto divenisse semplice e privo di magia che senso mai avrebbe prendere un aereo e arrivare dall’altra parte del mondo solo per poterlo riabbracciare. Magari se la smettessi di parlare al singolare potrebbe essere una cosa carina, neh.

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La verità più assoluta è che, per quanto tu sia ben consapevole di potercela fare a non smettere di respirare di fronte a loro, ogni volta è una sfida contro te stessa. C’è un momento, l’istante esatto prima che tutto abbia inizio, che il cuore perde realmente un battito come nelle peggiori fan fiction; un solo istante in cui anche solo respirare sembra essere uno sforzo fuori dalla propria portata. È una frazione di secondo in cui il sorriso sul proprio viso si trasforma quasi in una smorfia di dolore, lo stomaco si contrae come accade prima di vomitare e le gambe iniziano a diventare un pochino più deboli.
Un solo infinitesimale attimo prima di perdersi in quegli abbracci che significano vita.

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Ci sono abbracci in cui semplicemente ti senti a casa, quelli in cui riesci a percepire, anche solo per un istante, il battito del suo cuore e inizi a temere che lui possa riuscire a sentire il tuo che sta battendo così forte da fare male. Sorridi. Non devi neanche pensare di farlo perché non riesci a fare diversamente, ti stringi tra quelle braccia che quasi ti tolgono il respiro e finisce che te ne freghi dei soldi spesi per quella maledetta foto, delle settimana passate a configurare la posa perfetta, l’outfit perfetto, le parole perfette. Sei li, schiacciata tra le sue braccia che bloccano le tue e ti costringono ad una posizione pessima, ma va tutto bene perché il mondo potrebbe anche finire in quel preciso istante, tu saresti felicemente a casa.

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È una sensazione strana quella che si prova ogni volta: ti aspetti di incontrare un sogno e finisci per avere la sensazione di riabbracciare dei vecchi amici.  Ti ritrovi a ringraziare per un complimento ai tuoi capelli che in realtà da mesi vorresti rasare perché di andare come vorresti tu proprio non ne vogliono sapere; a chiedere ancora un altro bacio perché quelli, è risaputo, non sono mai abbastanza e a  pensare come sia possibile che il suo viso sia così perfetto da sembrare che abbia un filtro beautyPlus applicato costantemente addosso. Voglio conoscere il trucco, maledetto.

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Finisci a brindare con lo chardonnay e fare photo booth idioti con le tue amiche di sempre, a nascondere una corsa per arrivare alla transenna, a gioire per un saluto rubato mentre sei intenta a commentare l’immensità del suo fondoschiena, ad analizzare ogni singola espressione di quell’ometto biondo che ha rubato il tuo cuore e incasinato la tua testa da troppo tempo ormai.

Canti felice quelle canzoni che hanno fatto da colonna sonora alla tua vita stretta in una morsa di amore che solo chi condivide la tua stessa passione può realmente comprendere; ti lasci trasportare in una dimensione parallela in cui tutto può succedere, fatta di fugaci momenti che comporranno un favoloso puzzle quando tutto quello vissuto diverrà solo un ricordo.

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Rincorro frenetica le emozioni mentre le parole prendono vita sotto le mie dita, forse sto scrivendo troppo perdendomi in dettagli che non interessano a nessuno ma poco importa: ho bisogno di mettere nero su bianco ogni istante di questo fantastico viaggio e, in un certo qual modo, ringraziare persone e luoghi che lo hanno reso tale.

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Come potrei non parlarvi della dolcezza infinita di Kristin? Del sorriso sbocciato sul suo viso quando ha sentito del nostro lungo viaggio, della tenerezza del suo salutarci con baci ed abbracci e dell’assurdità del momento in cui lei ha definito noi delle fighe.

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Tutto molto bello ma It’s fabulous Vegas, baby.
E sicuramente non era ancora arrivato per noi il tempo per fermarsi, non ancora. Dopo il concerto, nonostante fossimo sveglie da ore infinite ormai, bisognava assolutamente correre al party sul tetto sotto la Torre Eiffel…ma si sa no Nick, No sense and so No party e ben presto il richiamo del cibo ha avuto la meglio sul nostro spirito festaiolo facendoci ritrovare stanche e felici a rimpinzarci di hamburger e patatine alle tre del mattino.

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E’ così strano per me ritrovarmi adesso a fare un resoconto cronologico di quanto vissuto, in viaggi del genere, quando le ore di sonno sono sempre troppo poche per essere prese in considerazione, finisco sempre per avere la sensazione di aver vissuto un unico giorno lunghissimo. Che non avvertissi la stanchezza o il sole cocente che mi aveva cotta a puntino rendendomi una piccola aragostina sarebbe una grandissima bugia eppure l’adrenalina che scorreva nelle mie vene era tale da impedirmi di fermarmi., seppure sempre in ritardo sulla tabella di marcia.
Nuovo giorno, nuova corsa, nuove avventure…sarete mica già stanchi di leggere?

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Il nostro ultimo giorno a Las Vegas è trascorso di corsa, come tutto il viaggio del resto, tra foto buffe e boomerang, pesantissimo cibo americano per dare inizio all’operazione bella ciaciona, giri in alberghi così immensi da rischiare di smarrirsi al loro interno e vani tentativi di sfidare la buona sorte alle slot machine del casinò del New York New York. Fingersi turista per eludere il nuovo panico che, questa volta decisamanete prima delle tre, aveva iniziato ad impossessarsi della mia essenza.

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Ok, li avevo visti appena 24 ore prima [decisamente meno, smettila di mentire] ma l’idea di avere a disposizione ancora un momento prima di salutarli fino alla prossima avventura mi dilaniava da dentro.
Si può davvero essere tristi per paura che una cosa finisca ancor prima che questa cosa sia realmente iniziata?
Non provate a darmi una risposta, non credo ne possa esistere qualcuna che vi salverebbe dalle mie lagne. La verità è che, sabato forse ancor più che venerdì, avevo bisogno di perdermi tra le sue braccia; avevo bisogno di sentire il sapore della felicità.

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Io non ho idea di come funziono queste cose, se davvero percepisce gli odori come i cani o se semplicemente i miei occhi che sorridono ancor prima delle mie labbra quando i miei occhi incrociano i suoi gli suscitano qualche strano moto di tenerezza; non ne ho idea del perché accada ma è quando più ne ho bisogno che lui tira fuori il meglio di se.

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Io lo so che in quella stanza c’erano 5 uomini, ma i miei occhi erano tutti per lui; non ricordo minimamente di come sia stato abbracciare Alex, lo osservavo sorridermi e l’unica cosa che cercavo di fare era non morire.
Hi beautiful
.
La sua mano sulla mia testa e io non ho capito più niente. Vi giuro che, da perfetta regista, nella mia mente avevo organizzato perfettamente come doveva svolgersi il tutto per avere il mio momento perfetto; eppure quando le sue braccia si sono strette alla mia vita non mi ricordavo neanche chi fossi. Come se fossi una bambolina mi ha posizionato dinanzi a lui, mi ha stretta e io ho sorriso con il cuore che mi esplodeva di felicità. Ho sorriso davvero.

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She’s got two photos.
Spiegare agli altri 4 che quello che avrei voluto era una semplice foto con un abbraccio di gruppo non si è rilevata cosa semplice, bloccata dalle sue braccia credo davvero di non essere stata così femminile nel cercare di sporgermi per chiedere cosa volessi.
She wants a group hug.
Senza liberarmi da quell’abbraccio che desideravo come l’aria per respirare, ha dato voce alla mia richiesta tirando a noi il povero malcapitato alla sua sinistra regalandomi la foto più bella che avessi potuto desiderare.

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L’ho abbracciato, si l’ho fatto ancora, avevo bisogno di portare quella sensazione dentro di me il più a lungo possibile e ho raggiunto la mia partner in crime per quella sera; colei che si è subita il mio panico estremo e la mia logorroicità pre e post Paradiso, colei che scambiando il suo biglietto con il mio mi ha regalato la serata più stupendamente assurda della mia vita.

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Ritrovarmi di nuovo nel pit per quella seconda sera è stato magnifico, sentirsi parte di un’unica famiglia con ragazze di continenti diversi è una sensazione che difficilmente a parole si riesce a spiegare, ballare con le proprie amiche sulle note di qualche stupida canzone, ridere di gioia e fissare con occhi innamorati la magia che prende forma su quel palco è pura poesia.
Sopravvivere a Nick Carter che decide che sia giunta la tua ora è… qualcosa di sovrannaturale.

Vivere un concerto all’estero è un’esperienza incredibile, le ragazze che hai intorno, quelle perfette sconosciute, diventano di colpo le tue amiche per una notte pronte a supportati quando troppo sconvolta dall’indicazione appena ricevuta sul dove dovresti andare (?) resti bloccata in un limbo senza sapere se ridere o piangere.
You had a moment with Nick. He is horny.

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Perfetto. Fisso il foglio per continuare questo mio racconto alla ricerca di una parola che riesca a definirlo e nella mia mente rimbomba altisonante un solo termine: Perfetto.
Tutto è stato perfetto. Tutti loro sono stati perfetti [ehmm Brian ti sto salvando per affetto, sappilo]. I ballerini sono stati perfetti [Teddy ti abbiamo amato dal primo momento]. Le mie amiche sono state perfette.
LUI è stato perfetto, nonostante io continui a chiedermi: ma da me sabato sera cosa diavolo volevi?

Mi hai bruciato l’anima con lo sguardo, bloccato il respiro e inibito ogni barlume di lucidità presente nel mio corpo in quel momento. Il mio mondo fatto di minipony rosa è stato raso al suolo dalla tua tenerezza e dalla mia insensata voglia di vedere il mondo intero sparire in quel preciso istante.

 

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Un viaggio semplicemente perfetto.
Se siete arrivati a leggere fino a questo punto non potete che essere d’accordo con me.
Siamo giunti quasi alla fine di questo post chilometrico, al momento in cui, finita la frenesia del racconto, sopraggiunge la malinconia del ricordo. Si dice che ogni viaggio lo vivi tre volte: quando lo sogni, quando lo vivi e quando lo ricordi, e io credo che mi lascerò cullare dai miei ricordi ancora per un pò.

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Prima di scrivere la parola fine sento il bisogno di ringraziare le mie folli compagne di viaggio, quelle con cui ho vissuto h24 per i scorsi giorni, stressandole con la mia tabella di marcia e il mio posso andare in panico ora?, quelle con cui ho condiviso da bere e una mezza scottatura da sole californiano, quelle con cui stavo evaporando per fare le foto sotto l’insegna di Las Vegas e con cui ho attraversato il casinò del Cosmopolitan in ciabatte. Quelle del #maiunagioia sempre presente, che ormai è diventato uno stile di vita; quelle dei biscotti del hotel e il Kevin sull’aereo. Quelle senza le quali questo viaggio non avrebbe avuto lo stesso sapore.img_2432

Devo dire grazie al supporto da casa, a chi non ha dormito condividendo le mie ansie e facendole diventare un pò le sue, a chi mi ha urlato di essere felice e pensare a me stessa, a chi ha ascoltato i miei deliri pre viaggio, viaggio e post viaggio; alla mia famiglia che mi ricorda sempre che i soldi meglio spesi sono quelli per i viaggi, che collezionare ricordi è il miglior modo di vivere la propria vita. Alle perfette sconosciute che hanno fatto da comparsa in questo bellissimo film.

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Devo ringraziare Brian, Kevin, Alex e Howie per essere parte di qualcosa di perfetto, per la loro innata capacità di riuscire a non deludere mai le mie aspettative, per le emozioni che con le loro voci continuano a regalarmi da praticamente tutta la mia vita. Per l’onestà nel condividere le proprie emozioni riuscendo a riempire i miei occhi di lacrime al suono di parole che risuonano più o meno così:
“Leggiamo spesso nei messaggi che ci inviate che ‘vi abbiamo salvato la vita senza conoscervi’; non immaginate nemmeno quante volte siete state voi a salvarla a noi.”
*vi si ama incondizionatamente da sempre e per sempre*

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Devo ringraziare me stessa, per esserci riuscita ancora una volta a non farmi fermare dalle mie paure. per essere riuscita a dimenticarmi di tutto quello che nei mesi scorsi aveva spento il mio sorriso, per essermi concessa di essere ragazzina perdendomi in quell’abbraccio che riesce, ogni volta, a ricordarmi che sono viva.

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Come se l’intero post non fosse stato un continuo ringraziamento al creatore per averti messo su questa terra, devo ringraziare Te per come mi sento io quando sono con te.
Non smetterò mai di stupirmi di come la gente non riesca a percepire che persona meravigliosa tu sia, di quanta dolcezza ci sia nei tuoi gesti, di quanto tu sia capace di far sentire una persona speciale, donandole l’illusione di vivere in una favola.

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Tu sei l’amore, e io voglio vivere per sempre di quest’amore.