Mi stai dicendo che eri innamorato di me? Si. E tu lo sei stata di me?
Sono stati i miei occhi lucidi a rispondere, una sillaba appena sussurrata in un sorriso imbarazzato. E’ assurdo come si riesca ad essere onesti quando la parola fine è stata inesorabilmente scritta; come quei pensieri nascosti vedano la luce non appena i passi hanno preso direzioni diverse. L’onestà della fine. Quando mentire o fingere smette di avere senso, quando il tempo dei giochetti lascia spazio a quello di una pesante ma liberatoria verità.
Quello che sei stata per me, tu non ne hai assolutamente idea.
Mi hai tenuto per mano mentre mi accompagnavi tra quei pensieri che non avrei mai potuto sopportare se davvero li avessi condivisi con me in quel tempo passato che ormai è solo uno sbiadito ricordo. Le lacrime hanno rigato il mio viso mentre, cullata dalle tue parole, la mente ha messo insieme i pezzi di quel puzzle ancora distrutto nella mia testa.
Non aveva più senso dirtelo. Ho dovuto abbandonare quei pensieri.
La nostra scelta è sempre la conseguenza delle nostre azioni, mai del caso. Anche se il karma è bravo a metterci del suo per evitarci di inciampare. Abbiamo vissuto separatamente i nostri drammi interiori semplicemente intrecciandoli in quelli che erano i nostri soliti problemi; proteggendoci spesso ci siamo fatti inesorabilmente più male.
Mi hai fatto male. Io sono stata male per colpa tua.
Abbiamo gettato le armi, gli scudi utilizzati per nasconderci hanno perso utilità. Non c’era più bisogno di utilizzare le parole per manipolarsi, per tenersi legati ancora un po’ quando la corda che ci univa iniziava ad allentarsi.
Ti bacerei. Sto piangendo. Sei bella sempre per me.
Ti ho ascoltato immaginare quella vita che avresti inventato per noi, un racconto di fantasia che mi ha fatto tristemente sorridere. Quella vita che non mi sono mai concessa di immaginare, neanche per un solo istante. Il tempo è stato generoso con noi, le nostre parole si sono ricorse fino ai primi sbadigli quando rimandare le ultime parole era ormai impossibile.
Allora ciao. Buonanotte.
Non ci siamo detti addio, anche se lo stavamo pensando entrambi. Ci siamo sorrisi un’ultima volta, questa volta è finita per sempre. Per davvero.
Perché stai piangendo? Stavo solo togliendo il mare dai miei occhi.
Mi manca l’aria. Oggi va così. Gli occhi continuano a diventare lucidi anche se non voglio. Dicono che bisogna vivere il dolore per poterlo superare, guardarlo in faccia, lasciarsi travolgere come da un fiume in piena; forse bisogna annegarci dentro per un po’…per poi ricordarsi come si fa a nuotare. Mi manca l’aria e sento un peso dentro che canalizza tutti i miei pensieri. Le emozioni fanno schifo. Il tempo ha iniziato a scorrere troppo lentamente, i colori hanno iniziato a perdere lucentezza. Era tutto così spento anche prima?
Non riesco a non pensare che me la sia cercata, che ero consapevole che prima o poi sarebbe arrivato questo momento. Mi sono raccontata di essere in grado di gestire qualcosa di ingestibile, qualcosa che dal primo momento urlava Non ne sei capace. E’ impossibile. Testarda e stupida. Ero convinta che sarei stata brava…leggera.
Un giochino. Doveva essere un fottuto giochino Un momento di leggerezza che avrebbe reso meno pesante un periodo che mi stava riducendo in quello che non ero…in quello che non volevo essere, non meritavo di essere.
E’ servita la parola fine per dare un nome a quello che avevamo. Forse per ammettere in silenzio in cosa eravamo inciampati. Per guardare in faccia la realtà e renderci conto di essere stati due cretini.
Sei un cretino. Devo averlo detto allo sfinimento, ma solo ieri mi sono resa conto che, alla fine di tutto, ad essere cretina forse ho vinto io.
Non affezionarti a me. Avevo giurato in maniera spavalda che non sarebbe successo. Non lo avresti fatto neanche tu. Perché adesso fa così male?
Mi manca l’aria. Mi manchi tu. Ce lo siamo detti un’ultima volta questa mattina, quando le parole avevano smesso ormai di avere senso. Quando il silenzio è diventato imbarazzante. Tra me e te. Noi che abbiamo sempre riso dell’impossibile e riempito ogni vuoto con il sono sciocco di una risata. Parole. Tante parole. Forse un po’ vuote…solo più dolorose.
Addio. Non lo abbiamo detto neanche questa volta. Alle 4 di notte ero sveglia. Alle 4 di notte eri sveglio pure tu. C’eri tu nella mia testa e sempre meno aria. Cosa credi che mi abbia tenuto sveglio questa notte? Ci sei tu nella mia testa
Mi manca l’aria. Oggi va così. Gli occhi continuano a diventare lucidi anche se non voglio. Fisso le tue ultime parole. Questa volta ti credo. L’ho visto nei tuoi occhi, l’ho sentito nei tuoi abbracci.
Per me resterai sempre una persona speciale con la quale ho trascorso momenti indimenticabili. Ti auguro il meglio nella vita, te lo meriti tutto.
Chi mi conosce sa bene quanto io ami mangiare e, allo stesso tempo, quanto sia difficile per me trovare qualcosa che non mi faccia storcere il naso perché non mi piace.
Ed è proprio in questo modo che, in fin dei conti, affronto la vita.
Non mi ero resa conto di mancare così tanto da questo posto, di non avere preso una pausa da tutto per incontrare i miei pensieri da così tanti mesi. Neanche negli anni più impegnativi era capitata una cosa del genere…e adesso sono tornata qui per scrivere un post sulla pasta. Potrebbe sembrare bislacco e poco sensato, ma in realtà non lo è. Sono tornata qui perché è in questo posto che iniziano e finiscono le cose, spesso anche solo un semplice viaggio: finisce davvero quando le mie parole hanno trovato posto su questo foglio bianco. E anche questo viaggio è giunto alla fine.
È assurdo come ricordi l’istante esatto in cui tutto ha avuto iniziato; se fosse uno sciocco romanzo rosa questo sarebbe il momento esatto in cui il cuore della protagonista ha perso un battito. Non lo avevo capito e forse è stato un bene così. Non credo che nella vita reale esista una colonna sonora che accompagna le scene più salienti (probabilmente neanche la voce fuori campo che li racconta rendendo tutto dannatamente poetico) eppure adesso, nella mia memoria, non riesco a fare a meno di ricordare musica (e voce). Sarà un inizio di pazzia? Probabilmente si. O forse è solo un eccesso di lucidità.
È Instagram è correre in soccorso della mia memoria: una storia archiviata ormai oltre due anni fa, il chiaro segno che qualcosa era successo quel giorno. Che roba da sfigata. Ci sono momenti che ci toccano più di quanto noi stesse possiamo immaginare. Un piccolo fiore. Un gesto stupido che aveva rubato 15 secondi di tempo su uno dei miei social, un frammento di spazio nei miei pensieri.
Chiudo gli occhi per un solo istante mentre la voce di Adele accompagna le immagini sbiadite che si susseguono nella mia testa: il suono della mia risata che diviene sempre un po’ più forte, l’acidità delle mie parole che si scontra con il sorriso da ebete e gli occhi a forma di cuore, il calore di un abbraccio, la dolcezza di un bacio, le lacrime di un addio…e poi di un altro…e di un altro ancora…come se fossimo persi in un infinito loop, incapaci di trovare la via d’uscita.
Si dice che quando finisce una storia d’amore sia solo uno dei due a soffrire: questa non era una storia…e l’amore è un’altra cosa. Ad essere onesta, avrei anche da ridire sul termine sofferenza. Una triste malinconia che ti attanaglia l’anima. Probabilmente in questo modo riuscirei a spiegare quella sensazione che si è impossessata della mia essenza. La certezza di non essere capita. Quello che accompagna ogni mio pensiero. La solitudine della mente. Quando sento che a nessuno interessi davvero il piccolo inferno che sto attraversando. L’arroganza di potercela fare da sola.
Ci sono principesse che non hanno ancora trovato il proprio principe azzurro, quelle che sono diventate guerriere perché, nonostante i vestiti rosa e nastrini sfavillanti, non hanno potuto rinunciare ad indossare un’armatura. Sono quelle che si sono lasciate rapire dal pirata non per ingenuità ma perché posso scegliere anche io di divertirmi senza costruire il castello in cui vivere. Sono quelle che hanno iniziato a giocare, ricordando bene le regole da seguire: poche ma essenziali.
A chi sono davvero piaciute le regole? Possiamo smettere di essere ipocriti almeno per un istante ed ammettere che non c’è alcun segno di debolezza nell’infrangere una regola? Neanche se era la più importante di tutte? Parole. Risate. Abbracci. Lacrime. Qualcosa che non era mai iniziato, è finito. E ancora parole. Sospiri. Una lenta agonia: tenera dolcezza intrecciata ad una logorante malinconia. Come la spieghi questa sensazione se continui a non dargli una definizione?
Semplicemente non la spieghi. Ti limiti a viverla attendendo che la tempesta passi, esattamente così come è arrivata; aspetti che torni la quiete, quel torpore da cui finalmente ti eri risvegliata…e ti chiedi come sarà. Non è cambiato nulla, eppure è cambiato tutto. Sei cambiata tu. Sei tornata umana, forse anche più di quanto fossi mai stata. Ma a nessuno sembra interessare, nessuno riesce a vedere che non sai più come si fa. Nessuno vuole andare oltre la bugia che racconti da così tanto tempo che hai finito per convincere anche te stessa. Sto bene.
Il più grande errore dei nostri giorni, a mio avviso, è proprio questo: credere che se non si sta male, semplicemente si stia bene. Vorrei fosse così immediato e logico. Eppure non è così, almeno per me. Semplicemente stai. Bloccata in un limbo da cui sai che puoi uscire, forse non ne hai ancora voglia; ferma tra quello che vorresti e quello che hai perso; sospesa tra le mille parole che non ti concedi di pronunciare.
Non sorridi più se non ne hai voglia, non fingi interesse per ciò che non ti interessa ascoltare, non ti costringi ad un’empatia di cui ne hai le scatole piene. Vai avanti e aspetti semplicemente che passi. Tutto passa. E’ solo questione di tempo, solo questione di volontà. Bisogna solo saper aspettare, forse non avere fretta e lasciare che tutto scorra…tutto torni normale.
Tutta colpa della carbonara.
Di quel piatto solo tuo, perché tu la mangi così. Perchè tu sei diversa anche in questo.
Oddio, ma davvero siamo riusciti ad arrivare alla fine di questo anno? Mi assicurate che siete tutti sani e salvi? Si ok, un po’ ammaccati…decisamente provati ma mai prima d’ora alla fine di un anno era accaduto di essere felici semplicemente per il fatto di essere sopravvissuti.
Volendo citare uno dei meme che forse ho visto più spesso durante questi 12 angoscianti mesi: sopravvissuto al 2020 dovrebbe fare curriculum.
E dal 2020 cosa vorrei? Non chiedo nulla, come sempre: sorprendimi!!! Dimostrami che sono brava a sbagliare. Ricordami che posso amare. Insegnami che non devo smettere di sognare.
In questo modo avevo chiuso il post di fine anno lo scorso dicembre: un post chilometrico in cui avevo parlato di viaggi, di persone, di consapevolezze; un post carico di malinconia per il volgersi a termine di un anno che mi aveva dato veramente tanto, pregno di speranze per un anno che, stando a quanto blaterava Paolo Fox, mi avrebbe dato ancora di più. Il 2020 è finito da poche ore e io, onestamente, ancora non credo di averlo capito…figuratevi se l’ho metabolizzato.
La verità è che già dal suo esordio questo 2020 si era dimostrato per quello che era: un anno nefasto. Pensare che credevo fosse Gennaio il problema…
Avevo iniziato l’anno cercando di dimenticare una persona, dimenticare chi mi aveva dimenticato con una facilità estrema (non sono capace a valutare situazioni e persone, ma questo ad inizio anno mica potevo saperlo). Avevo stilato una lista di buoni propositi…che mi sono appena accorta avrei potuto scrivere questa mattina e sarebbe stata uguale (questo mi spaventa non poco…davvero non è cambiato proprio nulla?)
Ma parliamo di questo Non-Anno. Non sono sicura che a Febbraio tutti abbiamo capito che qualcosa di veramente catastrofico stesse per stravolgere le nostre vite. Sono iniziate a comparire le prime regole da seguire, quelle regole che inizialmente ci hanno quasi fatto sorridere: Di colpo ci siamo ritrovati in una realtà in cui baci ed abbracci erano vietati, in cui la distanza tra le persone doveva essere superiore ad un metro, in cui a forza di lavarci le mani e utilizzare gel igienizzanti di sera rossori e bruciori erano la normalità, in cui bisognava sorridere nel gomito e piuttosto di tossire saresti esploso silenziosamente.
Sono comparse le prime mascherine, quelle introvabili da esibire con orgoglio e arroganza come se fossero un bene di lusso…quelle che ti sentivi pure un po’ scemo ad indossare, come se ti fossi ritrovato di colpo sul set di Grey’s Anatomy.
Una Pandemia. Io ero ignorante e ho dovuto cercarne il significato prima di capirne davvero il senso. Il viaggio per il mio compleanno annullato. La richiesta di smart-working che poi è diventata un obbligo. La vita che di colpo ha ricevuto un repentino stop: il lockdown. Mi manca il respiro se solo chiudo gli occhi e mi soffermo sulle sensazioni provate i primi giorni di reclusione forzata: l’ansia che è tornata, il senso di vuoto, la mancanza di respiro e la paura di crollare di nuovo.
Lo scorrere lento dei giorni che hanno iniziato a susseguirsi ha trovato pian piano una nuova dimensione: la sveglia ritardata non dovendo prendere la macchina per andare in ufficio, la tuta come outfit di default, le video-riunioni con i colleghi che ormai mi hanno visto nelle peggiori versioni di me stessa, il pranzo caldo a casa come non accadeva da anni, la tv che faceva da sottofondo alle mie giornate lavorative, gli appuntamenti su Houseparty con le amiche, la finta ginnastica, i flashmob sui balconi alle 18 (quelli che io vedevo solo sui social perché da me non esiste questo senso di comunità), il conteggio dei contagiati e dei morti, la curva di quel maledetto grafico che sembrava non volesse scendere mai più, Conte in tv e le bimbe di Conte sui social, i DPCM e i divieti che continuavano a susseguirsi, il terrazzo che ha iniziato a prendere forma e i TikTok fatti per non impazzire.
Sono tornata al lavoro il 25 Maggio…ed era tutto uguale ma tutto completamente diverso. Tutto quello che avevo lasciato prima del lockdown era li ad aspettarmi: tutto…anche quello che credevo di aver dimenticato. La verità è che durante la reclusione forzata ero convita che avevo imparato ad affrontare la vita con una consapevolezza maggiore…beh mi sbagliavo.
Il tempo di guarire forse non era stato abbastanza e me ne sono accorta subito quando, dopo mesi di silenzio totale o quasi, mi sono ritrovata di fronte a chi mi aveva incasinato il cuore…che poi non lo abbia realmente ammesso è un’altra storia. Il mondo era ancora nel caos più totale ma il mio problema più grande era essermi accorta di non essere capace a gestire quella situazione…ma ancora non potevo neanche immaginare quanto sarebbe stato complicato.
Per essere un Non-Anno è stato davvero un anno intenso. Tutto quello che era stato messo in standby i mesi precedenti si è scatenato nei mesi successivi: shooting fotografici come se piovesse, visite con i clienti e prove in mare, due fiere da organizzare, eventi open days, delivery e allestimenti. Ancora una volta ho sfidato me stessa, vinto le mie ansie e capito che, alla fine del circo, amo davvero il mio lavoro…e sono anche decisamente brava a farlo.
In questo Non-Anno ho scoperto tanto di me stessa…e anche imparato tanto. Mi sono stupita rendendomi conto che forse il contatto fisico non mi fa così schifo, che non sono così asociale come credo di essere ma i momenti di solitudine sono estremamente importanti per me. Ho scoperto che odio gli imprevisti ma alla fine so sempre come non annegare, anche se ho bisogno di piangere prima di trovare la forza. Ho capito che ogni tanto dire SI fa bene, anche perché rifiutare una giornata su uno yacht da 2M di euro solo perché non ci si stente a proprio agio con il proprio fisico è decisamente da stupidi. Ho imparato che se sorrido un po’ in più, se rido un po’ in più, non sono più stupida…solo un po’ più leggera. E prendersi un po’ in giro non è poi una brutta cosa.
In questo Non-Anno ho scoperto che sarei diventata zia di una cucciola che non vedo l’ora di incontrare e che già amo da morire. Ho avuto paura per la mia famiglia, per ogni colpo di tosse, per ogni linea di febbre. Ho capito che stare in salute è un dono inestimabile. Ho scoperto che il tampone per il Covid-19 fa male al naso ma l’ansia per l’esito distrugge l’anima. Ho capito quanto una giornata immersi nel verde e pieni di vino possa essere una boccata d’aria.
Ho scoperto che ci sono emozioni sbagliate contro cui puoi lottare ma alla fine non sempre ne esci vincitrice. Ho imparato che fa male prendersi una sbandata sbagliata, che lottare contro quello che si prova fa schifo e che ammetterlo forse è ancora più doloroso; che si finisce per essere impotenti quando sorridi senza volere e l’unica cosa che desideri è perderti in quell’abbraccio sbagliato. Che merda.
12 lunghissimi mesi…che da poche ore fanno ormai parte di un anno ormai passato. 12 lunghissimi mesi in cui ho cambiato ufficio, scoperto nuove persone essenziali nella mia vita, perso alcune delle mie certezze, smarrito un pezzo di cuore probabilmente per sempre, collezionato nuovi ricordi. 12 lunghissimi mesi in cui ho imparato tantissime nuove parole che mai avrei voluto usare, in cui sono riuscita a non uccidere alcun complottista o noVax, in cui sto ancora lavorando a non intraprendere conversazioni con gli idioti. 12 lunghissimi mesi in cui ho tormentato i miei capelli che sono diventati specchio della mia anima.
12 lunghissimi mesi…che non mi sono serviti per dimenticare, che non mi hanno ancora dato il coraggio per affrontare questo 2021 senza aver voglia di scappare o voglia di uccidere qualcuno, che non mi hanno insegnato ad addomesticare quello che sento…nel bene e nel male.
12 lunghissimi mesi…che difficilmente riusciremo a dimenticare.
Ancora mi domando come io fossi stata così stupida da ipotizzare che un anno come quello quasi giunto al termine potesse mai chiudersi in maniera diversa! No, non è mia intenzione mettermi a parlare di decreti a cui piace cambiare o di regioni che hanno più alternanze di colori delle serie sul mio albero di Natale (che per la cronaca ne ha uno solo, perché va bene il trashiume natalizio ma le cose vanno fatte con stile). Sono decisamente più egoista nell’uso delle mie parole e dei miei spazi.
Perché la conclusione di anno di cui vorrei parlare riguarda solo ME. In fin dei conti, non dimentichiamo il motivo per cui questo spazio è nato eh. La verità è che in questi 12 mesi ci ho provato davvero a non mollare il colpo, di non inciampare; ho cercato di essere forte, forse più del dovuto. Ho finito per spegnere tutte le emozioni…ancora una volta.
Crack! Questa volta l’ho sentito chiaramente, ho sentito il rumore di qualcosa che è andato in frantumi…IO.
Credo di essere solo stanca di fingere che vada tutto bene, che le scelte sbagliate non mi abbiano ferito, che la solitudine sia diventata una mia cara amica, che sia forte quanto voglio che gli altri credono. Sono stanca…ma non ho vie d’uscita! Non piango fino a quando le lacrime non diventano inspiegabili ed inarginabili, fino a quando alzarmi dal letto diviene una tortura. E no…nessuno mi capisce davvero!!!
Perché la gente crede che per aiutarti deve fomentarti contro un nemico che poi in realtà non esiste; come se dirti che è uno stronzo per magia ti facesse sentire meno idiota, come se bastasse ad arginare quel noSense che ti tormenta da giorni. Come se dirti come impostare le cose possa servire davvero a rimarginare cosa ti si è rotto dentro, come se ignorare le conseguenze ti facesse dimenticare che ce ne sono state, Perché la verità è che sei sola con i tuoi pensieri semplicemente perché nessuno può capirti o ascoltarti davvero oggi…perché siamo tutti un po’ rotti dentro. Ed ecco che ogni conversazione altro non è che uno scambio di problemi di cui in realtà non importa niente a nessuno!
È così che rispondi che stai bene semplicemente perché dei drammi degli altri non te ne può fregar di meno persa come sei nei tuoi pensieri. Crack! Tutto va in frantumi ma nessuno se ne accorge perché metti su il tuo rossetto migliore, che coprirai con quella maledetta mascherina, e speri che la gente non si concentri sui tuoi occhi. Rendi la voce acuta e svuoti la carta di credito, riempi lo stomaco anche se poi ti viene solo da vomitare.
Va tutto bene…anche se va tutto a rotoli e non riesci a fare altro che restare pietrificata ad osservare tutti i pezzetti che volano via come coriandoli. Sono solo stanca. Stanca di dare il 100% in quello che faccio ed essere banalmente scontata, come se ogni compito in più fosse dovuto, come se non avessi più una vita e tutto ruotasse intorno a ciò che gli altri si aspettano da te. Stanca di sembrare quella che non sono e di non sentire più cosa invece forse sto smettendo di essere. Stanca di essere delusa, di non riuscire ad essere felice.
Sono stanca di vedere le vite degli altri andare avanti e poi sentire le loro lamentele. Stanca di provare a dire che sto male e sentirmi rispondere anche io. Stanca di raccontare i miei problemi a chi mi vuole solo buttare addosso i suoi. Sono stanca di voi…ma soprattutto sono stanca di me!
Dovrebbero scriverlo sulle bustine di zucchero. Il barista potrebbe sussurrarlo di nascosto. Potrebbe esserci una musica con annesso messaggio subliminale di sottofondo. Bisognerebbe inserirlo in un manuale. Insomma qualcuno dovrebbe essere così carino da apporre quantomeno un cartello con la scritta WARNING all’interno di un bar. Io avrei apprezzato l’avvertimento.
“Comunque ho apprezzato questo caffè.”
Che già iniziare una frase con comunque mi suggerisce una certa polemicità, nonostante tutto. Ma non è mia intenzione manipolare la vostra percezione della storia, perché tutto questo delirio vuole essere un avvertimento per le generazioni future; perché la verità è che io non avevo la più pallida idea che un messaggio così lievemente gentile potesse essere l’Apriti, Sesamo dell’ingresso di Assurdolandia.
La premessa, a mio modesto parere, è davvero inutile ma, in fin dei conti, chi sono io per dirlo, quindi… Un ragazzo e una ragazza prendono un caffè. Lei in un moto di inaspettata ed inusuale gentilezza invia il succitato messaggio. AH, dite che non basta? Io credo che sia davvero tutto quanto serva sapere…almeno per il momento.
Apprezzare un caffè nel gergo moderno probabilmente significa altro, ma io sono una ragazza all’antica e mica potevo saperlo. Stando ad intensi studi scientifici dell’ultima ora, potrebbe essere un’istigazione. Insomma, a quanto pare alla lettura di quelle parole ci sarebbe un fantastico team di cheerleaders pronto ad esibirsi in un fantasmagorico balletto con tanto di minuscole gonnelline, ponpon sfavillanti e cartelli con scritte: PROVACI, CHE CI STO.
Perché nessuno mi avvisa di queste cose? Avrei messo a caricare il cellulare per fare un video che sarebbe diventato sicuramente virale.
Il problema reale di Assurdolandia, è che alla fine della fiera tutto è un grande melodramma, un circo. E si sa, ogni clown che si rispetti in realtà nasconde una profonda tristezza. Quindi nell’apprezzare quel caffè tu subdola donna vuoi rendermi la vita difficile, perché vorrei ma non posso.E mi sembra logico che quello sbagliato in questa storia non sono io che non posso ma tu che sei quello che vorrei. Logico, no? Beh, anche io però: come ho fatto a non arrivarci subito?
Eppure a me la logica l’hanno insegnata in maniera un po’ diversa. Guarda te la vita. Il punto è che a quanto pare, uno degli infiniti sottotesti nascosti dietro l’apprezzamento di un caffè che a me nessuno aveva mai narrato, un messaggio del genere pare abbia il potere di far si che il povero fesso continui il suo corteggiamento per il solo gusto di essere corteggiata.
Quante cose si imparano nella vita, eh? Dovrebbero farci un corso all’università. Ad esempio, e qui davvero ho bisogno del vostro aiuto, voi la sapevate la differenza tra un messaggio di apprezzamento per un caffè e una telefonata del buongiorno del mattino? Ecco, io no! Ma non è colpa mia se ho scelto Architettura e non l’Università della Vita, a quest’ora sarei stata più preparata. Se però siete ignoranti come me, oggi mi sento magnanima e ve la spiego io: il messaggio è sbagliato perché confonde le idee, è fuori luogo, nasconde messaggi subliminali reconditi e pericolosi…la telefonata è semplice: ti pensavo, so che odi il lunedi e ti ho chiamato perché volevo augurarti una buona giornata. Siete confusi? Non ci credo…so che siete più furbi di così.
Perché tu devi essere coerente e se ti abbraccio ti devi spostare, ma io ti abbraccio perché non riesco a farne a meno. E lo sai.
Si, mi sento anche io come Alice che si è calata degli acidi per finire nel Paese delle Meraviglie. E se vi viene voglia di urlare: Non ho capito, interrompete il gioco. Benvenuti nel mio mondo. Se vi sentite confusi, vuol dire che siete persone normali e questo mi rincuora veramente assai a questo punto del racconto.
Insomma, dopo le cheerleaders e dopo il clown a quanto pare arriva Conte con un nuovo D.P.C.M. a stabilire nuove norme talmente confuse che la colorazione delle regioni di ieri sera a confronto sembra una cosa completamente logica. Ma a questo punto sono davvero generosa e vi risparmio tutto il resto, perché è palese che durante il processo di crescita a qualcuno è scappato qualche Venerdì.
“Comunque ho apprezzato questo caffè.”
In un mondo privo di psicodrammi, in realtà, significava esattamente che ho apprezzato il momento del caffè che, alla fine di tutto il circo, è stato davvero solo un caffè. E se proprio vogliamo ricercare dei significati più profondi, oserei dire che ho apprezzato il labile equilibrio che avevo percepito, la simpatica professionalità e lo spiraglio di luce che mi suggeriva che tutto potesse essere meno complicato. Né un’accezione romantica né allusiva in alcuna maniera. Nessun invito nascosto. Nessuna richiesta. Niente. Nada. Zero.
Ho semplicemente apprezzato un caffè senza sapere che non fosse concesso.
Sembra una domanda banale, eppure è da ieri che mi è rimasta incastrata nei pensieri. La verità è che sono 35 anni che mi vedo eppure ancora non ho ancora capito cosa vedo.
L’immagine che vedo riflessa allo specchio alla fine ho imparato a farmela diventare simpatica; certo potevo avere qualche cm in altezza in più e qualcuno in larghezza in meno. Avrei voluto i capelli lisci e il naso meno allungato. Oh e gli occhi magari meno banali del mio nocciola, e se proprio devo essere sincera mi sarebbero piaciuti funzionanti. Lo sguardo poi…mi piacerebbe non sembrare sempre persa in mondi lontani; non è simpatico prendere un’insufficienza in fisica perché sembra che non capisca quando sto spiegando anche se tu della lezione avevi capito tutto.
Ma ti sei vista? Io mi sono vista ma vorrei vedermi come mi vedi tu. Osservarmi con i tuoi occhi a cuore e poi cavarteli dalle orbite, così che tu possa smettere di farlo.
Ma esattamente cosa non mi va? Perché non basta dire che non mi va? Non mi va di non essere più padrona delle mie emozioni, di lasciare che stupide sensazioni infantili condizionino il mio presente. Non mi va di avere lo stomaco in subbuglio e sentire il nervosismo che mi contorce le viscere dall’interno. Non mi va di sorridere ad uno stupido messaggio. Non mi va di restare incastrata nei miei pensieri quando quei pensieri non sono io a gestirli. Non mi va di ascoltare le storie degli altri quando vogliono solo vomitarmi addosso i loro problemi. Non mi va di raccontare cosa mi passa per la testa, tanto nessuno ascolta davvero.
Non mi va di sentirmi così stanca di chi mi circonda da non aver voglia di motivare le mie azioni. Non mi va di sentirmi triste perché non sono triste come avrei immaginato. Non mi va di sentirmi assente. Fintamente problematica. Fintamente serena. Non mi va di sentire niente.
Non mi va di chiedere come stai? Non mi va di raccontare come sto. Non mi va di preoccuparmi per quanto potrebbe succedere. Non mi va di ascoltare. Si già l’ho detto ma credo sia importante ribadirlo. Non mi va di esserci per nessuno.
Cαrα donnα, α volte tı cαpıterὰ dı essere troppo donnα, troppo ıntellıgente, troppo bellα, troppo forte, sempre troppo quαlcosα. Questo fα sentıre un uomo meno uomo e tu comıncerαı αd αvvertıre ıl bısogno dı essere meno donnα. L’errore pıù grαnde che puoı fαre è toglıere ı gıoıellı dαllα tuα coronα perché un uomo lα possα reggere con pıù fαcılıtὰ. Quαndo cıò αccαde, bısognα che tu cαpıscα che quello che tı serve non è unα coronα pıù pıccolα, mα un uomo dαlle mαnı pıù grαndı.